Quando mi capita di trovarmi all’interno di una conversazione riguardante tematiche di natura economica, ad esempio durante un conviviale, un meeting aziendale o una qualche celebrazione istituzionale, immancabilmente in questi ultimi mesi il contenuto del dialogo tra i vari partecipanti si spinge fino a preoccupazioni correlate alle pensioni ed alla spesa per l’assistenza sanitaria. In particolar modo su quest’ultimo argomento si sprecano i commenti a sfondo negativo sulle modalità in cui si espleta il servizio di assistenza da parte delle varie istituzioni preposte in Italia volte ad offrire e garantire la copertura sanitaria. Questo lo si percepisce soprattutto se i soggetti con i quali si sta conversando sono di età superiore ai sessantanni, per loro infatti tutto deve essere sistematicamente dovuto ed anche ben fruibile. La quasi totalità degli italiani non si rende conto che il nostro Paese rappresenta ancora una oasi paradisiaca in tal senso, nonostante i sempre più frequenti episodi di cronaca ospedaliera ad esito drammatico. Solo chi lavora o vive all’estero si rende conto che cosa significa andare a dormire la notte sapendo di avere una qualche copertura sanitaria (possibilmente integrale) per sé o la propria famiglia. Noi italiani ormai siamo stati abituati troppo bene da questo punto di vista, nel senso che tutto ci deve essere garantito, sempre e comunque, costi quel che costi. Proprio qui si apre un altro vaso di Pandora: i costi di assistenza sanitaria per come questa viene erogata e fruita dalla sua popolazione (nonostante le varie lamentele in stile italiano) sono insostenibili finanziariamente nel medio periodo considerando l’attuale fiscalità nazionale ed il costante deterioramento dell’economia nazionale a cui si deve associare un aumento progressivo della popolazione anziana (over 60) ed in conseguenza gli oneri relativi a diagnosi, terapie, degenze e cure.
Diamo alcuni numeri per quantificare il fenomeno, nel 2015 la spesa sanitaria italiana si è attestata a 116 miliardi di euro, nuovo massimo storico, in progressione lineare continua da oltre dieci anni. Ad esempio nel 2000 si attestava a 67 miliardi, nel 2005 a 94 miliardi e nel 2010 a 112 miliardi: sostanzialmente cresce di quasi due punti percentuali all’anno nell’ultimo quinquennio, mentre prima superava abbondantemente anche il 5% (per l’esattezza il 7% tra il 2000 ed il 2006). Il peso in percentuale sull’economia nazionale di questa voce di spesa è significativo, si attesta a quasi il 7% (6.9% per la precisione) e solo dal 2009 è in lieve contrazione. Se guardiamo i numeri dei partners europei scopriamo cifre in taluni casi addirittura più elevate come ad esempio il 8% del Regno Unito, il 9% di Francia e Germania o addirittura il 8.4% degli USA. Naturalmente stiamo parlando di aggregati abbastanza omogenei per la spesa nazionale in assistenza sanitaria, che non contemplano invece la spesa privata, dove quest’ultima per il nostro Paese è tra le più basse al mondo. L’Italia spende infatti appena il 2% del PIL in spesa privata per l’assistenza sanitaria, contro il 3% della Francia il 2.7% della Germania o il 9% degli USA. La differenza principale dei vari modelli di assistenza sanitaria è riconducibile alla qualità e composizione della stessa spesa, in Italia ad esempio si spende troppo poco in prevenzione sanitaria rispetto ai competitors stranieri, dando per assodato (erroneamente) che la sanità nel nostro Paese sia solo riconducibile alla tempistica di fruizione ed alla sua assenza di onerosità.
In estrema sintesi potremmo dire che l’approccio italiano alla spesa sanitaria è piuttosto ortodosso ossia riconducibile a quello che nell’immediato genera riverbero e tornaconto elettorale, discriminando in tal senso altri capitoli di spesa legati alla sanità stessa che potrebbero ottimizzare nel lungo termine la dinamica e consistenza della stessa spesa sanitaria come ad esempio le cure di nuova generazione o non convenzionali. In aggiunta a tutto questo abbiamo purtroppo anche le inefficienze ed i comportamenti infelici di spesa poco virtuosi che caratterizzano gran parte dell’operato del management italiano all’interno delle grandi aziende ospedaliere e sanitarie. Il risanamento economico che attende il Paese (volente o nolente) passerà anche per i conti della sanità pubblica che dovrà ridimensionarsi negli anni a venire, limitando il più possibile la fruibilità dei LEA (livelli essenziali di assistenza), tranne i casi conclamati di oggettiva emergenza medica. Su questo fronte, la maggior parte degli italiani è completamente impreparata soprattutto a livello psicologico a metabolizzare la trasformazione (epocale) che avrà la sanità pubblica italiana. La strada che si intravede in tal senso obbligherà anche gli italiani a garantirsi determinate cure ed attenzioni mediche mediante il ricorso a coperture assicurative mediche di matrice privata. Sanità e pensioni sono queste le due macroaree di spesa pubblica da cui si dreneranno prossimamente risorse nell’audace tentativo di ridimensionare la pressione fiscale nazionale in forza di una compressione della spesa pubblica, quindi welfare in senso lato e rendite pensionistiche ossia quello che per decenni abbiamo considerato intoccabile in Italia.
Per questo motivo sono convinto che il miglior investimento non convenzionale che si possa implementare sin da subito è quello riconducibile ad un riassetto e ridefinizione del proprio regime alimentare unitamente ad uno stile di vita il meno sedentario possibile, mettendo al bando sin d’ora usi e costumi anche di natura alimentare che nel lungo termine sono pesantemente dannosi per il nostro organismo: fumo, alcol, zucchero raffinato, neurotossine, farmaci invasivi ed alimenti preconfezionati. Deve spaventare in tal senso l’allarme lanciato dall’Osservatorio sulla Salute delle Regioni il quale evidenzia come per la prima volta in Italia la speranza di vita si sia abbassata, seppur di pochi mesi, in sostanza invertendo un trend più che decennale, ad esempio per gli uomini si passa da 80.3 anni di vita nel 2014 a 80.1 anni per il 2015. Il tutto contrasta con le aspettative universalmente assodate dell’opinione pubblica per la quale ci si aspetta invece un continuo allungamento della speranza di vita. Regimi alimentari ormai reputati sconsiderati, unitamente ad una filiera industriale intensiva che spinge oltre misura per ottimizzare solo il risultato economico complessivo in favore della GDO ed un oggettivo peggioramento della qualità di vita in molti contesti residenziali producono inevitabilmente un contenimento della vita media, a fronte di nuove patologie sia di portata cronica che invasiva. Entro i prossimi dieci anni la salute personale diventerà un asset non tangibile molto più rilevante rispetto al patrimonio finanziario in quanto non saranno più scaricabili sulla fiscalità diffusa meccanismi e protocolli di assistenza sanitaria che oggi diamo per scontato, quasi ci fossero dovute. A quel punto chi non avrà mezzi economici sufficienti per far fronte alle proprie necessità medicali, comprenderà con ritardo il significato ed il ruolo strategico della prevenzione, tanto per la sua vita quanto per il suo conto in banca.