Prima di procedere con l’esposizione di questo redazionale proviamo a fare il gioco del Risiko sullo scacchiere mondiale in questo modo potremmo anche cercare di interpretare quanto accaduto a Parigi lo scorso 13 Novembre. Pertanto vediamo chi è amico di e nemico di. La Russia per retaggio storico e culturale è ancora un naturale nemico degli USA, la Russia tuttavia è ancora il partner energetico chiave per l’Unione Europea, quest’ultima alleata militare e culturale degli stessi USA: ricordiamo a tal fine la crisi in Ucraina e l’embargo occidentale verso la Russia. La Siria è uno storico alleato della Russia in Medio Oriente, le dotazioni dell’esercito siriano sono di derivazione sovietica, nel porto della città di Tartus è situata l’unica base navale russa che consente il presidio e la possibilità di intervenire nelle acque del Mediterraneo. Per la Russia questo porto di appoggio logistico e militare è più che strategico, direi quasi vitale, senza di esso infatti non potrebbero effettuare rifornimenti ed assistenza alle altre forze armate che dovessero essere collocate nelle coste del Mediterraneo o intervenire eventualmente in Medio Oriente. La Siria è inoltre alleata naturale dell’Iran per ovvie ragioni ideologiche, l’Iran per la sua recente apertura al mondo occidentale è in pieno contrasto con i paesi islamici di chiara matrice ortodossa, nonostante questo non può essere considerato un paese alleato agli USA. Quali sono invece i paesi ortodossi nel mondo islamico in piena divergenza con l’Iran ? In prima battuta abbiamo l’Arabia Saudita, il cinquantunesimo stato degli USA, ancora primo esportatore di greggio al mondo ed anche primo cliente della difesa statunitense.
Oltre all’Arabia Saudita abbiamo anche il Qatar ed il Kuwait smaniosi di conquistare una fetta del mercato energetico europeo, soprattutto il mercato del gas. Sullo sfondo mancano ancora due importanti attori dell’area, l’Irak e la Turchia: il primo è un paese non allineato agli USA nell’area medio orientale (non penso che serva spiegarne le ragioni), mentre il secondo, soprattutto ora con la nuova governance di Erdogan, sempre più vicino a Washington ed i suoi alleati con in testa tutto il blocco continentale europeo. Ultimo l’ISIS, presente ormai per due terzi in Siria e per un terzo sul territorio iracheno. Sullo sfondo di fianco a questi attori troviamo il secondo e più ricco mercato dell’energia al mondo, quello europeo, che come molti sanno ha sempre avuto come principali partner energetici la Russia e la Libia (quest’ultima ora sotto assedio ISIS), entrambi in eterno conflitto con gli USA. Chi porterà il gas in Europa ed in che modo lo farà nei prossimi anni rappresenta al momento la principale sfida mondiale in campo energetico che coinvolge gli interessi di almeno una dozzina di paesi sostanzialmente schierati in due fazioni, chi sta con sotto l’egida di Washington e chi sta con Mosca. I principali esportatori di gas al mondo (escludendo gli USA) sono in ordine di riserve detenute Russia, Iran, Qatar e Arabia Saudita. Nello specifico il più grande giacimento di gas al mondo denominato South Pars North Dome con un potenziale estrattivo di oltre 50 trilioni di metri cubi è ubicato proprio nel Golfo Persico tra la costa qatarina e quella iraniana con una estensione di circa 10.000 km quadrati, il 60% dei quali competono a diritti di sfruttamento del Qatar ed il restante 40% all’Iran.
Quali saranno le arterie che porteranno energia all’Europa, chi le costruirà e soprattutto chi le controllerà rappresenta una mossa di strategia geopolitica vitale per il controllo degli equilibri planetari nel futuro. Pensate solo ad un Europa che viene allattata da un partner amico della Russia (sempre più in sintonia con la Cina) piuttosto che da un paese alleato con gli Stati Uniti. Progetti di nuove pipelines (leggasi gasdotti) sono in gestazione da anni ed alcune sono anche andate vicine anche alla loro fatidica implementazione. Il più famoso è stato il gasdotto South Stream, che doveva unire la Russia all’Unione Europea, attraversando le acque territoriali turche, passando per la Bulgaria e la Serbia. Politicamente i leader che ne avevano reso possibile l’ideazione nel 2009 furono Putin, Erdogan e Berlusconi, mentre il consorzio di general contractor che si era impegnato alla sua realizzazione era formato da ENI, Gazprom e EDF. Tuttavia l’embargo commerciale dell’UE (richiesto da Washington) che venne istituito contro la Russia per la gestione della crisi ucraina portò come conseguenza l’abbandono del progetto da parte della Russia proprio un anno fa (Dicembre 2014). Sempre in parallelo, nello stesso periodo viene formulato il progetto di un secondo gasdotto, il Nabucco, volto a rafforzare la capacità di approvigionamento energetico dell’EU mediante un nuovo corridoio che partiva da Baku (Azerbaijan), passava per Georgia, Turchia, Bulgaria, Romania, Ungheria sino ad arrivare in Austria.
Il Nabucco avrebbe dovuto rifornirsi non dalla Russia rispetto a South Stream, ma da più partners fra loro indipendenti come Kazakistan, Turkmenistan, Irak e Iran. Nel 2013 il progetto del Nabucco viene abbandonato per fare spazio al TAP (ossia il Trans Adriatic Pipeline), questo in considerazione degli elevati costi di realizzazione del Nabucco (quasi 8 miliardi) e dei rischi sistemici legati al transito del gasdotto in paesi non ancora garantisti e politicamente instabili. Il TAP porterà in Italia (con aggancio in Puglia nel territorio leccese) il gas proveniente da approvigionamenti nel Mar Caspio passando per Grecia ed Albania, questo vi fa capire l’importanza che riveste la Grecia per Washington. La realizzazione del TAP è stata formalmente autorizzata dal Ministero dello Sviluppo Economico nel maggio di ques’anno come infrastruttura di pubblica utilità ed urgenza. Con il TAP autorizzato e destinato ad agganciarsi in Turchia ad un altro gasdotto, il TANAP ossia il Trans Anatolian Pipeline, possiamo finalmente inquadrare gli episodi di cronaca nera di Parigi. Per inciso TAP e TANAP rappresentano l’ossatura portante del Corridoio Sud del Gas, infrastruttura strategica per consentire l’accesso al mercato europeo a fonti energetiche diverse da quelle russe. A questo punto possiamo presentare il progetto di gasdotto avanzato da Qatar ed Arabia Saudita, denominato con molta fantasia in Turkey-Qatar Pipeline, il quale prevede un’arteria di collegamento tra i giacimenti estrattivi del Qatar, passando per l’Arabia Saudita, transitando per Giordania e Siria, con approdo in Turchia per collegarsi al Corridoio Sud del Gas di cui abbiamo fatto menzione prima.
Sostanzialmente in questo modo vengono estromessi Iraq, Iran, Russia e Siria, quest’ultima che verrebbe ridimensionato non poco il proprio potenziale logistico. Nel 2011 il governo di Assad rifiuta il progetto di gasdotto proposto da Qatar e Arabia (immensamente sponsorizzato da Washington, ricordate sempre il ruolo dell’Arabia Saudita nell’economia statunitense) ed invece avanza e propone l’ipotesi di un secondo nuovo gasdotto denominato anche questo con grande fantasia Iran-Iraq-Syria Pipeline successivamente ribattezzato in Islamic Pipeline (caldamente sponsorizzato dalla Russia) in cui la Siria riveste un ruolo strategico nell’infrastruttura in quanto il gas arriverà nelle coste siriane e da lì mediante rigassificatori rifornirà le navi metaniere che andranno nei porti europei, mentre nel primo progetto il gas arriverebbe direttamente in Turchia, un paese schierato ed oggi alleato agli USA. All’Irak il progetto di Assad pare un sogno sia per i diritti di transito di cui beneficerebbe sia per lo schiaffo morale che potrebbe dare in questo modo agli USA stessi. A questo punto possiamo capire l’entrate in scena dell’ISIS (fatalità nello stesso periodo) e di chi lo finanzia ossia Turchia, Qatar, e Arabia Saudita, paesi che vogliono destabilizzare il governo di Assad per sostituirlo con uno compiacente in grado di avallare il loro progetto di gasdotto. Si tratta pertanto di una faida in seno a tutto il Medio Oriente il cui scopo non è più di tanto il denaro in sè, ma la sudditanza energetica dell’Europa e chi potrà controllare e governare questo rapporto di sudditanza. Gli USA temono infatti nei prossimi due decenni di perdere la loro egemonia valutaria (e per tanto il dominio su tutto) qualora dovessero perdere influenza ed ingerenza nelle scelte di politica energetica di paesi oggi partner ma domani forse. Gli attentanti di Parigi al pari di quelli di New York nel 2001 hanno smosso e scosso l’opinione pubblica tanto da osannare un immediato intervento militare nell’area in un momento di impasse che vedeva il fronte occidentale in difficoltà per il supporto ed assistenza sovietica. Solo dopo questo intervento potremmo capire quale progetto di gasdotto verrà imposto alla Siria, magari proprio quello voluto da Washington, rispetto a quello sponsorizzato da Mosca. Alla fine gli USA non fanno altro che proteggere e rafforzare sempre i propri interessi in ottica di lungo termine a scapito di altri paesi, tuttavia proprio come ha sempre fatto lo stesso Assad per il proprio paese.