Tradotto in italiano il titolo significa letteralmente paura della patrimoniale. Andiamo per gradi: in queste ultime settimane è aumentato esponenzialmente il numero di richieste via email per conoscere lo stato di salute della propria banca o per comprendere dove e come reperire informazioni riguardanti la loro situazione patrimoniale. Anche se il tutto si manifesta con un ritardo di oltre sei mesi se rapportato alla entrata in vigore della BRRD (Banking Recovery & Resolution Directive) possiamo in ogni caso comprendere il comportamento ed atteggiamento dei lettori che oggi vivono più che mai in piena isteria e sconforto le scelte di allocazione bancaria per le loro disponibilità. Ne abbiamo avuto modo di parlare anche in altre occasioni, fino a sei mesi chi è del settore era perfettamente a conoscenza dello stato di salute dell’industria bancaria italiana. Per dirla senza girarci intorno, in eurozona dopo le banche greche ci sono quelle italiane in qualità di grandi operatori istituzionali in profonda e sempre più preoccupante sofferenza. Sostanzialmente solo in questi ultimi sei mesi le comunità finanziarie si sono rese conto dei rischi che corrono la maggior parte delle grandi banche italiane e soprattutto anche i loro azionisti che dal primo gennaio di quest’anno sono in trincea aspettando il segnale per la ritirata. Oggi quella voce contabile, le sofferenze bancarie, che rappresenta il bubbone finanziario a cui non si è ancora dato una risposta efficace e credibile da parte sia degli organi di governo e sia dalle stesse banche, viene stimata oltre i 350 miliardi di euro in termini lordi.
Ricordo che ad inizio 2009, post fallimento Lehman Brothers, tale posta ammontava a meno di 100 miliardi, lentamente in più di cinque anni è più che triplicata. Stando alle svalutazioni su crediti che hanno apportato i vari gruppi bancari in questi ultimi 18 mesi l’importo scenderebbe in termini netti a poco meno di 100 miliardi. Quindi significa che l’industria bancaria italiana è esposta quantitativamente con la stessa gravosità del 2009. Le svalutazioni di queste poste contabili, lo ricordiamo per chi non è del mestiere, impattano direttamente sui conti economici e patrimoniali degli istituti di credito producendo inesorabilmente perdite su perdite. La gestione caratteristica della banca (quindi l’attività ordinaria tradizionale) magari è in grado di produrre un risultato economico più che positivo, soprattutto a fronte di nuovi piani industriali di rilancio e risanamento, il quale tuttavia viene interamente o parzialmente eroso (a seconda dell’istituto) una volta che vengono aggiunte anche le svalutazioni di questi crediti, che rappresentano componenti di reddito negativo. Oltre alle banche tradizionali abbiamo adesso anche il circuito del credito cooperativo, il quale incorpora di default gran parte delle anomalie e criticità che si sono viste su due grandi banche nazionali non quotate ossia Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza. Nel corso di quest’anno sarà quasi inevitabile assistere ad altri episodi similari.
Proprio su questo fronte si aprono le possibili ipotesi di scenario: che tipo di ulteriori rischi possono attendere gli azionisti, nonostante le pesanti correzioni delle quotazioni di questi ultimi mesi ed a fronte dei primi episodi di bail-in già sperimentato. Partiamo da questo assunto: quei 100 miliardi di cui sopra in qualche modo si dovranno ridimensionare se non addirittura dimezzare ed anche piuttosto velocemente, pena l’incapacità di riprendersi per sempre del sistema bancario italiano. La soluzione che ora esiste, il bail-in appunto, non può diventare la cura e terapia standard a pioggia in quanto questo diventerebbe deleterio per l’intera economia nazionale. Nessuno sottoscriverebbe più aumenti di capitale di banche e soprattutto si creerebbero le condizioni per un sell-off generale (già in corso) ma di portata e dimensione ben maggiore che comprometterebbe ulteriormente la solidità patrimoniale, ancorata anche al valore ed alle quotazioni degli strumenti di capitale di rischio. Lo ricordo ancora, in Veneto è andato in fumo circa il 10% del PIL della regione in risparmi polverizzati costituenti il valore delle vecchie azioni oggi sostanzialmente polverizzati. Inoltre la percezione di debolezza e vulnerabilità delle banche italiane anche e soprattutto da parte dei loro stessi clienti (i correntisti) sta producendo una significativa contrazione della raccolta diretta per le banche più a rischio e più esposte alla denigrazione sul piano mediatico e giornalistico.
Non mi auguro che accada, tuttavia l’ipotesi di una patrimoniale sui contribuenti volta a generare 50/60 miliardi di euro necessari per la costituzione di un veicolo istituzionali di garanzia (molto più che una semplice bad bank) potrebbe rappresentare la soluzione più efficace ed efficiente in ottica di medio periodo con la finalità di stabilizzare le quotazioni, confortare i mercati e soprattutto tranquillizzare la clientela. Significherebbe in sintesi mettere mano al portafoglio della fiscalità diffusa, imponendo ai contribuenti un prelievo coatto proprio su tutti i loro depositi bancari che ad oggi sono stimati essere oltre i 1600 miliardi di euro (1.6 trilioni). Quindi si potrebbe gestire il tutto con una patrimoniale una tantum (tuttavia con effetto retroattivo al 31.03.2016) con un’aliquota di prelievo coatto al 3 % (tre per cento) senza franchigia alcuna e per tutti e soli i conti retail (conti di persone fisiche). In questo modo potremmo recuperare subito almeno 50 miliardi di euro da impiegare per la costituzione del nuovo fondo tampona sofferenze. Si dovrebbe solo dialogare con le autorità sovranazionali europee al fine di chiedere una sospensione temporanea della BRRD (bail-in) per 12/18 mesi con lo scopo di stabilizzare tutte le banche italiane. In tal senso infatti il bail-in trova fondamento solo in caso di crisi bancarie isolate ossia un singolo caso bancario, ma qualora la patologia non sia specifica ma epidemica deve essere sostituito con una misura propedeutica e prodromica alla ricostituzione salutare dell’intero settore bancario.