Anche questa estate ci attendono dietro l’angolo possibili brutte sorprese e stati di tensione emotiva interminabili che mettono a dura prova sia la serenità finanziaria che la stabilità finanziaria dei nostri portafogli. Un anno fa avevamo la Grecia con il suo referendum di accettazione o diniego delle politiche di austerity e del dictat sovranazionale europeo: ci hanno tenuti in ballo fino ad inizio del passato agosto, quando dopo un braccio di ferro molto scenografico sono capitolati accettando l’inaccettabile e metabolizzando a livello parlamentare un insieme di riforme economiche di portata epocale, soprattutto per il trattamento riservato alle pensioni. Ciò nonostante sappiamo che anche questa estate la Grecia ritornerà a gran voce sulla scena economica mondiale per nuove ed interminabili necessità di rinegoziazione del suo debito monstre. Tuttavia prima avremo conosciuto l’esito del pericoloso referendum inglese in calendario per il prossimo 23 Giugno. Inutile nascondersi e far finta che tanto l’esito è scontato in quanto non lo è affatto, anzi. Io ho dieci volte più paura della scorsa estate, questa volta potremmo assistere all’inizio della fine dell’Unione Europea e soprattutto ad un crash finanziario di breve termine a cui non vi è modo di proteggersi a meno di essere cittadini statunitensi con la quasi totalità dei propri assets prezzati in dollari americani. Andiamo per gradi e proviamo a fare alcune ipotesi e considerazioni pratiche. L’esito del referendum inglese è ancora molto incerto nonostante vi siano state campagne mediatiche e prese di posizioni istituzionali e non per entrambe le espressioni di voto.
La stessa Regina Elisabetta II sarebbe favorevole alla Brexit, secondo alcune indiscrezioni della stampa inglese, prontamente smentite da Buckingam Palace. Anche il sindaco uscente di Londra, Boris Johnson, si è schierato a favore della Brexit, sbandierandone le opportunità e convenienze. Il primo ministro, David Cameron, mantiene invece un approccio più britannico e moderato, sostenendo la permanenza inglese in Europa. L’esito di questa consultazione nazionale sarà di importanza epocale per tutta l’Europa, questa volta. Negli ultimi due anni abbiamo avuto due appuntamenti elettorali non schedulati di portata sistemica, prima la Scozia e dopo la Grecia, come sopra ricordato. Si temeva che potessero danneggiare l’intero assetto europeo qualora il loro esito fosse stato di rottura con l’establishment attuale: così non è stato anche se per poco, sia per il caso scozzese che per quello ellenico. Con il Regno Unito il quadro cambia notevolmente, primo per il peso che ha l’economia di questo insieme di nazioni e secondo perchè un’eventuale vittoria del fronte separatista darebbe avvio immediato a successivi tentativi di emulazione da parte di altri paesi che al momento sono alimentati da rilevanti correnti euroscettiche come Finlandia, Spagna, Ungheria e Olanda. Quel poco che rimarrebbe ancora di coeso in Europa, orfana oggi anche di un elemento costitutivo cardine come Shengen, andrebbe velocemente incontro ad un possibile rischio di balcanizzazione, termine geopolitico utilizzato per indicare una situazione politica instabile dovuta a continue disgregazioni le quali danno origine a fenomeni di frammentazione geopolitica.
L’esempio principe di balcanizzazione lo si può individuare con lo scioglimento della Jugoslavia nel 1991. Non si tratta questa volta infatti di uscire dall’euro, ma addirittura di rinnegare l’intero assetto di governance europeo, che sappiamo comunque essere un organismo astratto di governo poco amato dalle persone comuni. Il Ministro delle Finanze tedesco lo ha ribadito in più occasioni ed utilizzando anche un tono piuttosto spocchioso: una volta fuori dall’Europa non si entra più, e questo non vale solo per le varie nazioni ma anche per le conseguenze che andranno ad impattare il mercato del lavoro e quello dei capitali finanziari, cui Londra è tanto legata. Per non correre il rischio, migliaia di cittadini britannici molto benestanti hanno da mesi acquistato anche il passaporto di altri paesi europei (come Cipro, Malta, Portogallo e Spagna) per poter conservare lo status di cittadino europeo. Si dice che gli inglesi votano con il portafoglio in mano dentro in cabina elettorale, contrariamente ad altre popolazioni europee che si fanno magari più trasportare dall’emotività (ad esempio l’Europa Mediterranea) o quelle teutoniche, ancorate più a ideali ortodossi inamovibili. In caso di vittoria del fronte separatista, a pagarne infatti nell’immediato le prime conseguenze dovrebbero essere proprio tutti gli inglesi che vedrebbero la sterlina svalutarsi non di poco sia contro il dollaro che contro l’euro.
Quest’ultimo paradossalmente potrebbe invece essere l’unico elemento a rimanere in vita in caso di una dissoluzione politica dell’Europa (molto improbabile, tuttavia ancora possibile) nel medio e lungo periodo come unico elemento aggregante sul piano macroeconomico: più che altro per scongiurare fallimenti a catena di banche europee a fronte di tassi di interesse impazziti e titoli di debito pubblico sovrano colpiti da una pesante contrazione delle loro quotazioni. Per i piccoli risparmiatori non vi sarebbero molte possibilità di salvezza: praticamente tutti gli strumenti di risparmio gestito subirebbero oscillazioni di valore decisamente significativi, in taluni casi anche perdite vere e proprie, i mercati azionari di tutto il mondo potrebbero essere colpiti da un drammatico sell-off, le banche europee potrebbero essere obbligate a limitare la loro attività per evitare di alimentare bank runs e cosi via. Solo l’oro si apprezzerebbe e solo quest’ultimo a quel punto potrebbe essere considerato come l’unico bene rifugio convenzionalmente sicuro. Questo scenario mi ricorda le ultime settimane del 1999 quando si paventava il rischio del Millennum Bug in cui allora venivano rappresentati i possibili scenari catastrofici a cui avremmo potuto assistere (si parlava anche di aerei che si sarebbero schiantati al suolo senza un motivo specifico). Tutti i gruppi bancari del mondo per mesi e mesi fecero simulazioni e simulazioni per evitare di trovarsi impreparati e pianificando anche la exit strategy in caso di crash informatico sistemico. Sappiamo che le autorità monetarie e politiche sovranazionali stanno lavorando al piano B per tutta l’Europa da mesi proprio con l’intento di non trovarsi impreparati e colpiti all’improvviso da un esito inaspettato. Mi auguro vivamente almeno per noi europei continentali che rientreremo in questa casistica proprio come sedici anni fa.