Generalmente le crisi finanziarie sono originate da due fattori strutturali endogeni all’interno di ogni economia: un eccesso di indebitamento tanto nel settore privato quanto in quello pubblico oppure un eccesso di investimento concentrato in una singola asset class a fronte di una compiacenza irrazionale. La crisi finanziaria del 2008 di cui ancora oggi paghiamo le conseguenze è scaturita dalla convergenza di entrambi questi scenari. Se avete visto The Big Short (il miglior film in assoluto sui mercati finanziari ed i rischi degli investimenti) ricorderete come uno dei protagonisti, Michael Burry, gestore dell’hedge fund Scion Capital (interpretato da Christian Bale) ricordi ad uno dei suoi assistenti come l’aumento della complessità ed esoticità dei prodotti finanziari rappresenti uno dei migliori indizi anticipatori di una imminente crisi finanziaria. La proliferazione eccessiva infatti di prodotti strutturati molto complessi correlati al mercato immobiliare ed al mercato dei mutui ipotecari permise il formarsi della bolla immobiliare che si trasformò successivamente nella più grande crisi finanziaria del dopoguerra. Spesso si dovrebbe guardarsi indietro per capire da dove arriviamo per meglio comprendere dove stiamo andando. Gli interventi di salvataggio che vennero predisposti nei confronti del sistema bancario fecero lievitare il debito pubblico dei paesi che erano già in osservazione finanziaria per la capacità di rendere sostenibile il proprio debito pubblico. Qualche anno dopo alcune di queste nazioni vennero colpite dalla crisi del debito sovrano riproponendo una recessione a distanza di pochi anni dal fallimento di Lehman Brothers.
Se ritorno indietro con la mente ricordo ancora quali erano le paure ataviche di quell’epoca, vi era una isteria collettiva nei confronti delle banche: la mia banca è sicura, questo investimento è sicuro, dove posso ripararmi dai vari rischi di cui sento parlare alla televisione, queste obbligazioni sono sicure. La paura si era impossessata di tutti e tutto sommato questo fa bene in quanto obbliga a restare vigili ed attenti. Innanzi ad una minaccia o un pericolo, la reazione umana è quella di essere minuziosi e calcolatori delle scelte di vita da intraprendersi: è una questione di sopravvivenza, e nel nostro caso si parlerebbe di sopravvivenza finanziaria. Cosa che oggi invece sembra sia andata nel dimenticatoio a causa dello stato di narcotizzazione che hanno indotto le autorità monetarie sovranazionali, della serie non ha senso preoccuparsi del proprio denaro, tanto ci sarà nuovamente Draghi che farà un nuovo discorso innanzi alla stampa mondiale e tutti si rincuoreranno nuovamente. Tornando indietro invece di vent’anni qualcuno immagino si ricorderà della crisi delle tigri asiatiche che colpì inizialmente la Thailandia la quale diffuse il contagio a Malesia, Indonesia e Filippine: la motivazione era sempre la stessa, troppo debito ma questa volta contratto in moneta forte (hard currency). Lo sboom della New Economy nel 2000 invece era correlato alla folle corsa all’acquisto di tutto quello che poteva essere presentato come dot.com in tal senso ora vi sono delle preoccupanti analogie con il mondo delle criptovalute e tutto quello che gira attorno alla blockchain (tema che sempre più spesso si dice essere iper inflazionato).
Pertanto la prossima crisi possiamo stare tranquilli che si manifesterà o per un nuovo eccesso di debito o per una nuova irrazionale mania collettiva: il peggio dei due mondi sarebbe la convergenza di entrambe queste due tematiche di investimento. Stando ad una recente analisi pubblicata dall’Economist questo tipo di scenario risulta piuttosto verosimile infatti da una parte abbiamo la folle corsa ad acquistare titoli azionari di aziende ad elevata capitalizzazione (soprattutto settore tecnologico) che vantano proiezioni di profitto costantemente in ascesa e per questo la moltitudine degli attori di mercato bramano nel detenerli (pensiamo solo al caso Netflix). Tale corsa all’acquisto frenetico viene anche alimentata pericolosamente dall’assenza di tradizionali investimenti a reddito fisso a quotazioni ragionevoli. Sempre queste grandi società detengono grandi disponibilità liquide che utilizzano non per effettuare investimenti sulle linee produttive o per lo sviluppo di nuovi prodotti, quanto piuttosto per l’acquisto delle loro medesime azioni quotate sul mercato al fine di aumentare il dividend yield (diminuendo il numero di azioni in circolazione infatti aumenta artificiosamente l’utile per azione). In taluni casi eclatanti si è arrivati persino a emettere obbligazioni che hanno fornito la liquidità per implementare i suddetti programmi di buyback azionario. Paradossalmente le piccole e medie imprese invece si trovano con livelli di indebitamento tra i più alti dal 2007 con un debito consolidato che arriva anche a tre volte l’EBITDA. Questo scenario è frutto dei bassi tassi di interesse di questi ultimi cinque anni che ha spinto a indebitarsi a tasso variabile con troppa disinvoltura.
Nel settore pubblico il quadro non è affatto più confortante: il debito mondiale rappresenta più del 200% del PIL mondiale e la metà si trova tra USA, Europa e China. Solo quest’ultima durante gli ultimi dieci anni ha contribuito all’aumento del debito privato mondiale per il 75%. La qualità di questo debito si sta deteriorando da tempo, sia nel settore privato che nel pubblico. Quasi tutti gli emittenti al mondo sia privati che pubblici stanno vedendo ridimensionati i loro rating di affidabilità. L’aspetto più allarmante rimane comunque il ritorno che si ottiene dall’investimento rapportato al livello di rischio: se potessimo fare una comparazione con il passato potremmo senza grandi distinzioni riconoscere che la maggior parte degli investitori accetta un rendimento decisamente inferiore rispetto al rischio che assunto in precedenza. Questo ha portato sostanzialmente tutti (dai fondi pensioni ai fondi speculativi) a posizionarsi sul reddito fisso di bassa qualità pur di ricavare alfa. La dottrina economica richiama al New Normal per giustificare questo fenomeno comportamentale, tuttavia anche in questo caso stiamo parlando di una ipotesi infatti i rendimenti obbligazionari complessivi sono tra i più bassi degli ultimi dieci anni pur in presenza di un livello di rischio fuori dai parametri di confidenza (la Lehman Brothers è fallita proprio per questo motivo). A questo scenario si affianca adesso la FED che porterà progressivamente i tassi al 3% entro il 2019 con l’ottica di normalizzare la politica monetaria. Tutti questi dati di portano ad acclarare che una nuova grave crisi finanziaria causata da un eccesso di bassa qualità è dietro l’angolo: l’unica incognita rimane il tempo. Sarà il 2020 oppure il 2019 quando anche per la BCE arriverà il cambio della guardia e delle forward guidance ?