Tra qualche giorno avremo cognizione di causa per conoscere e comprendere il destino avverso cui dovremmo far fronte come risparmiatori ed investitori italiani. Purtroppo il 2018 sembra volgere alla fine rispolverando ataviche paure che sempre sono state poco considerate in quanto esagerate o poco credibili. L’eventuale e possibile downgrade del debito italiano al primo scalino dello speculative grade da parte di Standard&Poor’s atteso entro questo sabato. Già abbiamo visto che cosa ha prodotto la revisione diplomatica e ben sperante di Moody’s lo scorso sabato la quale tuttavia ha confermato il livello di investment grade (anche se si tratta dell’ultimo gradino) con un outlook stabile, il che significa che da parte loro, stante l’attuale scenario macroeconomico del paese, non è in discussione un ulteriore downgrade nel breve termine. Sul piano tecnico per chi non avesse approfondito il tutto siamo collocati sul livello Baa3 ossia rischio di insolvenza medio basso con una media qualità del debito in considerazione di sufficienti capacità per far fronte agli impegni di breve periodo. Stiamo parlando dell’Italia. In buona sostanza siamo innanzi ad un baratro finanziario, basta veramente poco per creare il peggior incubo per chi detiene risparmi sotto forma liquida e depositi bancari a prima vista. Moody’s e Standard & Poor’s detengono una quota di mercato pari all’80% dei servizi di rating internazionali, il residuo fa capo a Fitch Ratings, anch’essa di emanazione statunitense, che spesso fa l’ago della bilancia in caso di giudizi di rating contrastanti tra le prime due grandi.
Generalmente tali giudizi appaiono quasi sempre in sintonia e tecnicamente allineati nel corso del tempo, ad esempio Australia, Norvegia, Canada e Germania sono considerate per tutte e tre le grandi agenzie come i debitori più solidi del mondo in forza della loro AAA. Tuttavia in numerosi casi eclatanti le agenzie esprimono giudizi che pongono in diversa luce i debitori esaminati: ad esempio gli Stati Uniti per Fitch e Moody’s hanno un rating AAA, mentre Standard & Poor’s assegna solo (si fa per dire) una AA. Un altro caso similare è la tanto vituperata Grecia che ha tenuto il mondo con il fiato sospeso durante il referendum del 2015, infatti Standard & Poor’s assegna una B+ mentre Fitch una BB- (in ogni caso si tratta di un giudizio all’interno della classificazione di speculative grade). Se l’Italia dovesse ricevere il downgrade da Standard & Poor’s in zona speculative grade le conseguenze sui mercati finanziari in termini di sell-off potrebbero essere peggiori di quanto visto durante il 2008 a seguito del fallimento di Lehman Brothers. Proprio come in quell’epoca nessuno immaginava che una banca di investimento di quelle proporzioni fallisse o venisse lasciata fallire: invece sappiamo perfettamente che cosa è accaduto Ora il quadro innanzi a noi italiani non è tanto diverso: sappiamo che le implicazioni di un tale downgrade innescherebbero una nuova crisi finanziaria internazionale di portata devastante.
Rispetto a quell’epoca infatti i risparmiatori non possono contare su eventuali safe heaven ed i governi hanno margini di manovra inesistenti. Il salvataggio dovrebbe arrivare ancora una volta dalla BCE con l’invenzione di qualche strumento di politica monetaria ad-hoc. La crisi finanziaria si innescherebbe proprio all’interno del sistema bancario italiano, in quanto il donwgrade del paese produrrebbe per osmosi anche il downgrade delle grandi banche nazionali (anch’esse con la BBB), le quali vedrebbero deteriorarsi in poco tempo la loro solidità patrimoniale in forza della svalutazione dei titoli di stato italiani direttamente detenuti come immobilizzazioni finanziarie strategiche e collaterali per la loro attività. Per questo motivo da oltre un mese sono aumentate massicciamente le posizioni corte di medio respiro sulle azioni delle banche italiane quotate da parte di numerosi hedge fund che confidano nello scenario peggiore per il paese. La perdita di capitalizzazione che hanno recentemente avuto gli istituti di credito italiani dovrebbe essere un allarme per chi sta governando, cosa che purtroppo non sembra essere cosi: tanto per dare un parametro di lettura considerate che il Banco Santander in Spagna ha ormai una capitalizzazione di mercato pari a quella delle prime cinque banche italiane in seguito alle loro recenti pensanti contrazioni. Sempre per dare un ulteriore metro di paragone ricordiamo che Cipro e Grecia al momento si rifinanziano a dieci anni ad un tasso abbondantemente inferiore a quello italiano visto la recente infiammata dello spread.
L’Europa non è in grado di resistere e far fronte ad una crisi di tali dimensioni, infatti l’Italia non è la Grecia in termini di dimensioni finanziarie, ma soprattutto il debito italiano è detenuto più nei mercati anglosassoni che in quelli tedeschi come avvenuto per il paese ellennico. Chi detiene tale debito vuole ricevere garanzie che sarà rimborsato e soprattutto si preserverà la sua sostenibilità nel medio lungo termine. In tal senso devono essere lette le bocciature sulla manovra finanziaria dell’attuale governo: se infatti le ipotesi di crescita e sviluppo economico in chiave espansiva ricorrendo ad interventi dichiaratamente assistenzialisti non dovessero produrre gli effetti positivi tanto sbandierati, si saranno create le condizioni per rendere poco sostenibile e controllabile il rapporto debito/pil del paese, con conseguente aggravio del suo outlook complessivo il quale darebbe adito a nuovi downgrade. In tal senso si spiega la ripresa dei fenomeni di delocalizzazione finanziaria da parte di piccoli investitori e risparmiatori che consapevoli di tali rischi trasferiscono capitali ed investimenti in altre nazioni considerate più sicure, proprio come avvenne durante l’estate del 2011. Cosa potrebbe accadere pertanto agli italiani già lo abbiamo visto negli anni scorsi a Cipro e in Grecia che hanno fatto da banchi sperimentali per le altre nazioni. La differenza che avranno gli italiani in questo senso sarà notevolmente più accentuata: gli scudi di protezione finanziaria (varati dal 2012) non saranno applicati all’Italia in quanto tali strumenti non sono disponibili qualora il governo di una nazione non rispetti le linee guida sulla stabilità dei conti pubblici.