Continuiamo il viaggio che abbiamo intrapreso qualche settimana fa, addentrandoci ancor di più all’interno delle amministrazioni centrali e locali per comprendere come vengono assorbite le risorse che sono ad esse dedicate. Ci viene in tal senso in aiuto una rilevazione dei costi dettagliata per singola voce elaborata sempre dalla Ragioneria Generale dello Stato e disponibile all’interno del Rendiconto Economico dello Stato per il 2015. Quanto costa lo Stato italiano ? Ossia quanto costano tutti gli enti istituiti previsti all’interno della tanta amata Costituzione italiana ? Per rispondere a tal quesito possiamo far riferimento ad una funzionale bipartizione tra organismi che attengono all’Amministrazione Centrale che rappresentano nel loro complesso quello che viene denominato Amministrazioni Locali. La testa (amministrazione centrale) è costata a consuntivo 2015 solo (si fa per dire) 8.69 MLD, mentre il resto del corpo (amministrazioni locali) la cifra considerevole di 97.98 MLD: questo dovrebbe spostare l’attenzione del contribuente più a valle, smettendo di concepire la testa (quindi Roma e tutto quello che le sta attorno) come il solo centro di spesa su cui intervenire in misura coatta sulla spesa ad essa riconducibile. Vi è infatti una proporzione di 1 a 10 tra quanto assorbe la testa ed il resto del corpo: come vedremo più avanti sono proprio le regioni in vero le principali destinatarie di imponenti risorse pubbliche. Per farvi comprendere come questa voce di spesa sia in costante lievitazione, anno dopo anno, ci viene in aiuto una tabella di raccordo (denominata stanziamenti di competenza per missione e natura dell’autorizzazione della spesa) che confronta negli anni precedenti l’evoluzione della spesa della missione numero 3 ossia Relazioni finanziarie con le autonomie territoriali quindi regioni, province e comuni.
Nel 2009 abbiamo avuto costi di competenza complessivi per 111 MLD, nel 2010 salgono a 118 MLD, nel 2011 scendono a 108 MLD (Governo Monti), nel 2012 risalgono a 112 MLD, nel 2013 riscendono a 102 MLD, nel 2014 diventano esuberanti con 122 MLD (+ 20% rispetto all’anno precedente) e nel 2015 salgono ulteriormente a 131 MLD: questo salto quantico di 29 MLD tra il 2014 ed il 2015 è imputabile alle politiche di bilancio del Governo Renzi. Ritorniamo ora sui passi iniziali e analizziamo per ordine di rilevanza costituzionale il costo delle istituzioni più corpose appartenenti alla Amministrazione Centrale (quindi la testa). Le assemblee legislative (Camera e Senato) sono costate 1.95 MLD, la Presidenza del Consiglio dei Ministri solo 792 milioni di euro, il tanto sbandierato (come inutile) CNEL ha un costo di 8.7 milioni, mentre molto più interessanti sono i costi che competono la Corte dei Conti (262 milioni) e il Consiglio di Stato assieme a tutti i TAR (159 milioni). Tenetevi forte che comunque l’asso di bastoni lo tengono le cosiddette agenzie fiscali (agenzia delle entrate, agenzia del demanio, agenzia delle dogane e del monopolio) le quali sono costate 3.91 MLD nel 2015: ricordo ancora il confronto dimensionale con i 2.66 MLD di tutti gli organi costituzionali. Aggiungiamo a questo quadretto il fatto che i dirigenti di prima fascia delle agenzie fiscali possono vantare gli stipendi più alti di tutta la pubblica amministrazione (220.000 euro annui) cui seguono i colleghi degli enti pubblici non economici, come INPS e INAIL rispettivamente con 217.000 e 178.000 euro annui. I meno pagati sono i dirigenti scolastici (legasi presidi).
Ritornando al costo delle Amministrazioni Locali che a consuntivo 2015 è stato di 98 MLD, alle regioni vanno imputati 86.80 MLD mentre ai comuni ed alle province appena 10.66 MLD: il dibattito politico per questo dovrebbe abbandonare la sterile diatriba sulla convenienza o meno di mantenere le province o ipotizzare le aggregazioni di centro amministrativo per i comuni sotto una determinata soglia di popolazione, pensando invece che una delle soluzioni da intraprendere per il riassetto dei conti pubblici possa essere individuata nella definizione e formalizzazione delle macroregioni come centri di gestione e controllo della spesa, abbandonando definitivamente la struttura di costo regionale come la conosciamo oggi in cui ogni regione geograficamente parlando rappresenta un centro di spesa indipendente. In questo modo potremmo contare su cinque distretti amministrativi a cui delegare il federalismo fiscale che oggi invece connota singolarmente ogni regione (avremmo in tal senso la macroregione del nord-est, la macroregione del nord-ovest, la macro regione del centro italia, la macroregione del meridione e la macroregione delle isole). Mettiamo ora in stand-by l’analisi della spesa che riprenderemo più avanti nei prossimi redazionali di ulteriore approfondimento e vediamo assieme da dove provengono le risorse che sono spese nelle varie missioni che abbiamo precedentemente enunciato.
Le entrate a consuntivo nel 2015 hanno contabilizzato un totale di 540 MLD, in aumento rispetto al 2014 di 15 MLD: questo reso possibile esclusivamente a fronte di un aumento dell’attività di accertamento (parole testuali della Ragioneria Generale dello Stato). Nonostante questo il risparmio pubblico (entrate totali – spese totali) subisce una pesante contrazione di quasi 20 MLD, attestandosi ad appena 5.8 MLD, quando nel 2014 era a 25 MLD e nel 2012 a 64 MLD. Le entrate per semplicità espositiva le possiamo suddividere in tre categorie: tributarie, extratributarie e flussi finanziari dovuti ad alienazioni di proprietà (cessione di beni tangibili che generano quindi una entrata finanziaria). Nel 2015 hanno avuto la seguente suddivisione, 455 MLD le prime (quindi IRPEF, IRES, IVA e cosi via), quasi 84 MLD per le extra-tributarie (soprattutto attività di accertamento e sanzioni di varia natura) ed infine 1.7 MLD per la terza categoria (alienazione beni del patrimonio). Concentrandoci sulle entrate tributarie ricorrenti anno dopo anno, scopriamo che il gettito IRPEF è stato tutto sommato il medesimo nel 2012, 2013 e 2014 attestandosi sempre intorno a 175 MLD, mentre nel 2015 aumenta sensibilmente a 187 MLD. Il gettito IVA passa dai 112 MLD del 2012 ai 117 MLD del 2015, ricordiamo che durante tale periodo temporale l’aliquota di imposta è passata dal 20% al 22%. Le accise subiscono una contrazione di 2 MLD nel 2015, mentre nei tre anni precedenti sempre si sono assestate a 35 MLD. Monopoli, gioco e lotterie rimangono stazionarie a 10 MLD. Di trend decisamente opposte appare invece l’IRES (l’imposta sulle società) che passa dai 46 MLD del 2012 ai 41 MLD nel 2015 con un consistente calo soprattutto nel 2014 da 48 MLD a 40 MLD. Qui ci si dovrebbe interrogare: la minore IRES incassata a fronte di un aumento del PIL tra il 2014 ed il 2015 è dovuta ad una diminuzione della pressione fiscale o forse ad una diminuzione dei soggetti (leggasi imprese) che sono ancora vive e continuano a pagare le imposte anno dopo anno aspettando e sperando un futuro migliore ? Sappiate, qualunque sia la vostra risposta, che la Legge di Bilancio 2016/2018 ha messo in previsione per il 2016 la riscossione di 44 MLD dalla voce IRES e per il 2017 e 2018 un totale di 40 MLD, in esatto contrasto invece l’IRPEF che per il 2016 viene conteggiata a 189 MLD (quindi 2 MLD in più rispetto al 2015), 191 MLD per il 2017 e 195 MLD per il 2018. Questa stima pertanto prende in considerazione il verificarsi sia di una significativa crescita economica quanto di un utilizzo massivo e opprimente dell’attività di accertamento.