In Veneto quest’anno quasi tutta l’industria bancaria non convenzionale è stata colpita da un prevedibile terremoto finanziario su cui molti analisti ed opinion leader indipendenti avevano ammonito con largo anticipo tanto il settore retail quanto la relativa stampa di settore. Con il termine di industria bancaria non convenzionale si vuole definire il circuito delle casse rurali e dei crediti cooperativi assieme a quello delle banche popolari non quotate ossia istituti di credito che sono caratterizzati da due elementi distintivi: la presenza e diffusione capillare all’interno di un’area territoriale specifica ed il sistema di governance assembleare incentrato sul voto capitario. In buona sostanza tutti gli azionisti di una banca che si presenta tale hanno il medesimo peso durante una decisione assembleare, quindi un voto per ciascuno a prescindere dal numero di azioni che ognuno di loro detiene. Tutti gli altri operatori bancari riconducibili alla finanza ordinaria fondano la loro governance sull’assetto plutocratico ovvero il voto di ogni azionista è espressione diretta della ricchezza a lui riconducibile in termini di numero di azioni possedute, quindi in sintesi chi detiene in maggioranza assoluta più azioni di tutti gli altri azionisti messi assieme di fatto controlla le scelte gestionali o le può condizionare sensibilmente. Difficile che invece questo possa accadere in una cassa rurale o in una banca di credito cooperativo e questo potenzialmente può essere un bene, ma anche generare pericolosissime distorsioni.
Situazioni similari si possono individuare nei paesi anglosassoni con le community bank che assomigliano da lontano alle nostre piccole banche di territorio. Come ormai sapete durante la scorsa primavera il Veneto è stato scosso nel giro di poche ore dal ridimensionamento di valore che hanno subito le azioni di due grandi banche popolari storiche non quotate, Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza. Ne abbiamo parlato diffusamente in molte altre occasioni e negli anni prima abbiamo significativamente avvisato di come questa eventualità fosse sempre più prossima. Queste vicende hanno messo in moto nel frattempo numerose inchieste giudiziarie con lo scopo di radiografare l’operato passato del management per individuare responsabilità o possibili comportamenti di gestione fraudolenta a danno degli stessi azionisti. In Veneto negli ultimi due anni sono diventati sempre più frequenti sia gli episodi di commissariamento di banche non convenzionali al pari delle situazioni di sofferenza patrimoniale a fronte del deterioramento sia del tessuto imprenditoriale che della qualità del credito concesso in precedenza. Ora le due grandi banche sopracitate si dovranno quotare nei primi mesi del nuovo anno allo scopo di smantellare proprio il sistema di voto capitario ed il castello di potere che con il tempo proprio la presenza del voto capitario è stato possibile costruire.
Si parla infatti ad oggi sempre più spesso proprio per le casistiche di mala gestione bancaria del cliche di governance riconducibile alla figura del Presidente Padrone ovvero un unico key man che durante il suo mandato di governo ha trasformato l’istituto di credito in un vero e proprio feudo medioevale basato su clientelarismi personali, consigli di amministrazione e organi di controllo composti da Yes Men, con il solo scopo di assecondare le operazioni di gestione ordinaria e straordinaria di volta in volta osannate dal Presidente Padrone. In Veneto ormai se ne contano in numero rilevante di episodi di mala gestione bancaria riconducibili alla governance di un solo Presidente Padrone, governance resa possibile e suggellata dal voto capitario che ha prodotto concentrazioni di affidamenti a pochi eletti o nei confronti di un solo settore economico (tipo l’immobiliare) minando pertanto la stessa solidità patrimoniale e serenità finanziaria. In Europa ci hanno sempre richiamato su questo punto incitandoci a prendere provvedimenti affinchè si potessero realizzare i doverosi e salutari cambi di gestione alternando diversi timonieri alla guida del singolo istituto, ma la politica italiana è sempre rimasta inerte proprio per le stesse pressioni volte al mantenimento dello status quo che gli stessi Presidenti Padrone riuscivano a perpetrare.
Queste banche inoltre avevano una peculiarità unica se non una vera e propria anomalia ovvero autodeterminavano il valore delle proprie azioni: dallo scoppio della crisi bancaria del 2008 non si è fatto altro che alimentare ulteriormente un’altra bolla finanziaria ossia quella delle quotazioni gonfiate, quotazioni irrealistiche con l’effettiva dinamica e consistenza del patrimonio bancario. Tuttavia i Presidenti Padrone hanno potuto farsi belli innanzi all’azionariato cementando il loro consenso davanti a numeri e risultati che si sono dimostrati presto non veritieri ed in alcuni casi addirittura farlocchi. Le bolle non durano ed il mercato ha sempre ragione: durante il 2015 si è aperto il vaso di Pandora e ora tutte le criticità e distorsioni create irragionevolmente dai Presidenti Padrone si pagano. Anzi pagano questo nuovo conto salato proprio gli azionisti per adesso e forse dal prossimo anno anche gli obbligazionisti e parte dei correntisti grazie alla messa a regime del bail-in. Anche questi azionisti comunque hanno le loro colpe, pochissime volte ho percepito buon senso e lungimiranza da parte loro, quasi fossero stati ipnotizzati dal pifferaio magico di turno. Non è finita comunque perchè proprio il credito cooperativo in Veneto ha davanti tre anni di profonde trasformazioni: non stupitevi se delle tre dozzine di banche di credito cooperativo che abbiamo in regione a forza di accorpamenti, fusioni ostili ed obbligate dalle authority monetarie ne resteranno in vita molto poche, forse appena dieci.