La stampa nazionale sta seguendo con molto interesse lo scenario politico italiano in quanto vi sono delle curiose similitudini con quanto accaduto da loro più di due anni fa ricordiamo infatti quasi nove mesi di stallo politico con addirittura una seconda elezione a distanza di sei mesi dalla prima. Anche la Spagna ha espresso ingovernabilità durante la famosa elezione politica di fine 2015 al grido di Hemos Hecho Historia di Antonio Rivera, leader di Ciudadanos, tanto che si coniò in quell’epoca l’espressione colorata di italianizzazione del congresso, riferendosi ad un nuovo arco costituzionale che per la prima volta esprimeva quattro schieramenti politici uno in contrasto con l’altro. La formazione di un governo si trasformava in mission impossible. Ci sono voluti nove mesi per riuscire a convergere sulla riconferma di Rajoy dopo che nel frattempo si era aperta una breccia in seno al PSOE. Se ci soffermiamo a riflettere un momento, sembra un copia ed incolla con quanto accaduto in Italia due anni dopo. Purtroppo questa analogia si ferma al teatro della politica, perchè le rispettive economie di questi due paesi hanno avuto dinamiche decisamente diverse. Andiamo per gradi e proviamo a fare un raffronto. La Spagna ha rappresentato la migliore economia in seno all’area euro in questi ultimi tre anni con un PIL oltre il 3% ed un sensibile miglioramento della disoccupazione. Il paese iberico è riuscito più di chiunque altro a mettere a reddito la straordinaria ed irripetibile convergenza di variabili macroeconomiche favorevoli durante il passato triennio: caduta del prezzo del petrolio, tassi di interesse negativi e debolezza del dollaro statunitense.
Se leggiamo invece il quadro attuale in ottica mondiale scopriamo che questo sogno si sta trasformando velocemente in un incubo per i paesi che non hanno approfittato di queste strepitose opportunità per recuperare ed accelerare. Tra il 2015 ed il 2016 ad esempio l’Italia è stata sostanzialmente imballata da Renzi & Company con le sue aberranti convinzioni politiche (riforma costituzionale, gestione dell’immigrazione e immobilismo innanzi a vergognosi scandali bancari) che hanno assorbito energie, tempo ed attenzione in luogo di altre riforme strutturali che necessitava la nazione per sfruttare finanziariamente le opportunità del contesto macroeconomico complessivo. Adesso vediamo che questi tre drivers (petrolio, tassi e dollaro) rappresentano un passato che difficilmente si manifesterà nuovamente. Le crisi geopolitiche in atto (soprattutto Venezuela ed Iran), la Federal Reserve che ha intrapreso la strada del rialzo sistematico dei tassi quindi imponendo una politica monetaria restrittiva, il rialzo dei rendimenti dei titoli di stato americani ormai destinati a superare con veemenza la soglia del dolore del 3% ed infine il conseguente rafforzamento del dollaro che sta mettendo in ginocchio tutte le aree emergenti e le loro rispettive valute. Innanzi a tutto questo noi italiani stiamo per partire con un nuovo governo fatto di due anime antitetiche in presenza di oggettiva conflittualità ideologica. Quello che inizia male di solito finisce male. Lo ricorderemo per molto tempo il trienno renziano, anzi ce lo ricorderanno gli altri: facendoci notare che altre nazioni europee hanno fatto quello che fanno tutti gli esseri viventi di buon senso.
In un periodo di vacche grasse fai scorte e ti prendi avanti per i giorni bui quando arriveranno. In Spagna la dialettica politica ora si concentra proprio su questo, nella consapevolezza che i tempi futuri non saranno assolutamente favorevoli alle economie periferiche europee, non solo per variabili macroeconomiche con dinamiche più sfavorevoli al percorso di crescita ma anche per il cambio di governance che si avrà dal 2019 alla BCE: muterà infatti sia la politica monetaria che la sua leadership. Mario Draghi terminerà il suo mandato ed in concomitanza termineranno anche le misure monetarie espansionistiche (il famoso QE europeo). L’era dei tassi negativi o bassi è presto destinata a finire più di quello che si possa immaginare. Si delineano pertanto all’orizzonte le nubi di una nuovo vento gelido proveniente da ovest: le condizioni fisiologiche ottimali degli Stati Uniti potrebbero mettere in critica difficoltà gli stati europei che sono stati aiutati continuamente durante questi ultimi anni (Grecia, Portogallo, Italia). Ad esempio in Spagna, il Ministero dell’Economia sta già pianificando come contenere gli effetti sulla fattura energetica in presenza di una quotazione al barile di petrolio che sembra destinata a ritornare prossima ai 90 dollari. Dopotutto in un anno l’oro nero è aumentato di trenta dollari e tale aumento potrebbe erodere la crescita del PIL spagnolo anche di uno 0.7%. Il timore maggiore comunque deriva sul versante tassi di interesse: Spagna e Italia sono letteralmente sopravvissute alla crisi finanziaria degli ultimi dieci anni solo grazie agli interventi e reti di protezione finanziaria creati dalla BCE. I tassi negativi hanno permesso di contenere gli oneri finanziari sul debito pubblico, si parla di circa 15/20 miliardi all’anno solo per l’Italia.
Questo tesoretto non è stato sfruttato con una visione strategica. Pensiamo solo che la metà di questa posta finanziaria è stata assorbita per i famosi 80 euro di Renzi. Pertanto nazioni molto indebitate faranno più fatica a rifinanziare il proprio debito se la loro economia non sarà ritenuta credibile nel medio e lungo termine. In questo ultimo trimestre l’Eurozona ha inaspettatamente rallentato con Germania e Francia che hanno fatto peggio delle attese. La decelerazione dell’Eurozona apre a nuovi preoccupanti interrogativi: se i margini di manovra sono minimi per gli stati europei più deboli, come si potranno gestire gli effetti sull’occupazione e sul gettito fiscale in presenza di una contrazione del PIL conseguente ad un cambio di variabili macroeconomiche destinato a ritornare alla normalità. Pertanto immaginate che un mutuo a tasso fisso al 2% per trent’anni rappresenti un elefante che vola: il futuro dei tassi di interesse preoccupa moltissimo la nazione iberica nella constatazione che il mercato immobiliare abbia contribuito moltissimo al recupero dell’economia spagnola. Al pari del turismo che ha convertito la Spagna nella prima meta mondiale nel 2017: tuttavia un dollaro forte che penalizza le altre divise impatterà sicuramente anche sull’indotto turistico visto che viaggiare sarà più costoso per praticamente tutti. L’aspetto più rilevante di tale disamina spagnola è legata al fatto che le istituzioni che governano il paese iberico sono consapevoli delle difficoltà che abbiamo innanzi le quali si concretizzeranno in una diminuzione della crescita economica nazionale con un PIL pertanto in contrazione. Non mi pare che in Italia vi siano allarmismi in tal senso e soprattutto non mi pare che il nuovo che avanza sia sensibile a tali nuove minacce.