Sono ormai passati tre mesi dal picco di massima tensione finanziaria sui mercati azionari causata dalla pandemia di Covid-19 e numerose case di gestione di investimento hanno iniziato l’analisi dei vincitori e vinti. Sul piano pratico significa confrontare le performance di numerose asset class, la loro volatilità e la rispettiva capacità di resilienza. Quanto accaduto ai principali mercati azionari in appena due mesi fa comprendere l’importanza di concepire e strutturare una propria asset allocation commisurata alla propria propensione al rischio al fine di conseguire degli obiettivi concreti e facilmente misurabili: infatti chi avesse smobilizzato frettolosamente il proprio portafoglio in preda ad una crisi di nervi durante il mese di marzo adesso ne pagherebbe beffardamente le conseguenze. L’indice dei titoli tecnologici statunitensi, Nasdaq100, non solo ha velocemente recuperato tutto il suo drawdown ma addirittura si è spinto anche oltre, raggiungendo nuovi massimi storici assoluti. Naturalmente questo non vale per tutti i mercati azionari, ve ne sono stati infatti alcuni più resilienti di altri proprio in forza delle loro caratteristiche distintive: il Nasdaq ad esempio essendo l’indice dei titoli tecnologici ha un potenziale di rialzo rilevante essendovi quotate proprio le società tecnologicamente più disruptive in rispetto al Dow Jones in cui trovano invece quotazione solitamente aziende in stile old economy.
La Cina rappresenta la nazione in cui si è originato il primo focolaio di infezione a livello mondiale, tuttavia nonostante questo si deve considerare come l’unica economia avanzata che terminerà il 2020 in crescita economica rispetto ad Europa e Stati Uniti. Il PIL cinese è infatti stimato crescere del 2% contrariamente alle attese del 6% che si avevano ad inizio anno. Europa e Stati Uniti invece saranno in pesante recessione, nel caso europeo la contrazione della crescita potrebbe superare a consuntivo anche il 5%. Un’altra area geografica che si sta dimostrando inaspettatamente molto resiliente è l’Africa: la crescita del PIL nel continente africano è stimata al 1% contro il 4% di inizio anno. L’aspetto più sensazionale è rappresentato proprio dalla errata proiezione formulata dalla comunità scientifica ad inizio marzo che paventava in Africa una catastrofe umanitaria dovuta alla diffusione del contagio del coronavirus di Wuhan. Sul fronte sanitario i numeri parlano da soli: in Africa vi sono stati 2 morti per milione di abitanti contro i 200 per milione dell’Europa. Analizzando il ranking mondiale questo quadro appare lampante: infatti le prime tre nazioni africane per numero di contagiati risultano rispettivamente Sudafrica (19), Egitto (26) e Nigeria (50).
Con un totale complessivo solo di 170.000 contagiati per queste tre grandi nazioni che hanno un complessivo cumulato di oltre 360 milioni di abitanti. Per avere un metro di paragone considerare che gli Stati Uniti hanno 330 milioni di abitanti ed ormai quasi 2.5 milioni di contagiati. Le motivazioni che spiegano questa condizione fisiologica del continente africano sono rapportabili a specifiche condizioni demografiche e climatiche. Le popolazioni del continente africano sono infatti molto giovani e godono di un clima che non favorisce sia il contagio che la resistenza del COVID19. L’Africa per ora risulta più colpita a livello economico che umanitario in quanto il 20% del PIL africano dipende dalle esportazioni di materie prime, sia industrial che soft commodity. Diversamente invece da quanto accaduto a Stati Uniti ed Europa, il continente africano non risulta colpito nella filiera produttiva e sul versante occupazionale proprio in considerazione della sua stessa struttura economica ancora poco interconnessa con le altre aree macroeconomiche del mondo. Inoltre le economie africane che trainano la crescita del continente soprattutto Nigeria, Sudafrica ed Egitto non hanno implementato misure di espansione monetaria al pari di quanto varato dalle economie occidentali per far fronte alle misure di emergenza sanitaria.
Questi aspetti tematici dovrebbero essere considerati proprio per valutare una posizione satelitare tematica di investimento all’interno del proprio portafoglio finanziario. Negli ultimi dieci anni l’equity statunitense o quella europea hanno realizzato tra il 200 al 250%, mentre le borse africane appena un 50%. Elemento distintivo tra Africa e mondo occidentale è l’assenza proprio di misure di quantitavie eaasing durante questa ultima decade che farebbe pertanto pensare ad una sottovalutazione dell’equity africana. L’Africa in forza del suo potenziale demografico potrebbe infatti finalmente esprimere grandi sorprese nei prossimi anni: l’età molto giovane della sua popolazione la rende molto più dinamica allo sviluppo ed espansione delle nuove tecnologie disruptive che stanno emergendo a seguito della transazione dalla new economy alla digital economy. Purtroppo una esposizione di investimento tematico in questo momento è possibile solo attraverso alcuni fondi comuni di investimento a gestione attiva in quanto la gestione passiva (leggasi ETF) è priva di opportunità a replica fisica, questo almeno per quanto riguarda il mercato italiano. Il mio consiglio è quello di prediligere i comparti finanziari che si occupano di selezionare i titoli migliori per il loro potenziale growth piuttosto che avere una esposizione direzionale long only generica nei confronti delle principali e più conosciute azioni africane quotate nelle rispettive borse nazionali.