Il 2018 è ormai in procinto di volgere al termine, mancano ancora solo poche sedute, lasciandoci un amaro ricordo almeno dal punto di vista finanziario: le recenti contrazioni dei mercati azionari non fanno presagire niente di buono per il nuovo anno. Anzi. Partiamo con alcuni numeri che aiutano a comprendere la dimensione della disfatta: l’indice azionario americano, S&P500, è passato in nemmeno tre mesi dai quasi 3000 punti agli attuali 2400, pertanto con una correzione, se non un crollo vero e proprio, del 20%. Da notare che il quadro tecnico in formazione appare vistosamente precario, lasciando intendere un ulteriore proseguo della discesa almeno sino in area 2100. L’indice dei primi cento titoli tecnologici – il Nasdaq 100 – non è stato da meno, è passato infatti durante il medesimo lasso di tempo dai 7600 punti agli 6000 attuali, quindi con una medesima contrazione in percentuale. La death cross verificatasi ad inizio del mese non ci ha messo molto a presentare i suoi effetti: in analisi tecnica rappresenta l’incrocio dall’alto verso il basso della media mobile veloce (50 giorni) con quella lenta (200 giorni). Rappresenta un fortissimo segnale di inversione di trend, molto seguito ed utilizzato soprattutto dai gestori dei fondi comuni di investimento, i quali prima di smobilizzare quantitativi elevati di capitali necessitano di segnali operativi oggettivi e statisticamente rilevanti.
Le conseguenze di questa contrazione la possiamo vedere sull’andamento di titoli azionari molto noti, ad esempio Amazon è letteralmente crollata dai 2000 dollari ad azione agli attuali 1400. Similmente Apple da 230 dollari agli attuali 150. Il 2019 inizierà pertanto nel peggiore dei modi in quanto assisteremo con presunzione durante le prime settimane dell’anno a imponenti ondate di vendite dovute ai riscatti sugli strumenti finanziari collegati ai titoli azionari come fondi, etf e certificates, nonostante l’enfasi mediatica del rimbalzo del 26 Dicembre. Con l’inizio del nuovo anno verranno infatti pubblicate universalmente a consuntivo le performance delle varie asset class: solo l’indice S&P500 chiuderà il 2018 con una performance annua negativa di oltre il 10 percento, dopo una striscia positiva di nove anni consecutivi. La performance mensile di dicembre è la peggiore degli ultimi decenni, graficamente l’indice evidenzia una volatilità che non si vedeva dal 2008: appare più che sensato essere preoccupati, soprattutto a fronte delle politiche monetarie restrittive adottate dalla banca centrale americana. L’unica asset class che presenterà un risultato positivo per il 2018 sembra essere il debito governativo espresso in valuta locale di alcuni paesi emergenti. Che qualcosa sia completamente diverso dal 2008 lo capiamo osservando l’andamento dell’oro, sostanzialmente indifferente alle nuove paure finanziarie che attendono il 2019.
Già in precedenti post durante il corso dell’anno si è fatta ampia luce sui rischi di concentrazione finanziaria di numerosi strumenti finanziari riconducibili al tema dei FAANG (Facebook, Amazon, Apple, Netflix e Google) o alle operazioni di buyback societario che alimentavano fittiziamente la salita dei corsi azionari in forza di uno yield in costante aumento. Nel frattempo vedremo se le borse europee, già in abbondante territorio negativo dal mese di maggio – quindi con sei mesi di anticipo rispetto a quelle statunitensi – peggioreranno ulteriormente le loro performance: per fare un altro esempio pratico l’indice tedesco DAX30 dovrebbe chiudere il 2018 in territorio negativo con un consuntivo di quasi 20 punti percentuali di correzione. Lo scenario macroeconomico mondiale non appare affatto rincuorante: vi sono numerosi focolai finanziari che rischiano di trasformarsi in cigni grigi durante il corso del 2019: vi è l’imbarazzo per gli argomenti sensibili, la guerra commerciale tra USA e Cina, le elezioni per il rinnovo del parlamento europeo, il crollo del prezzo del petrolio, l’ascesa del populismo in quasi tutte le economie avanzate ed il deterioramento economico di numerosi paesi emergenti. A questo quadro aggiungiamo la faida innescata tra Trump e la Federal Reserve in pieno shut down sulle guideline di politica monetaria.
La preoccupazione maggiore in ogni caso deve essere rivolta alle società di asset management che hanno in questi ultimi anni sviluppato e collocato sul mercato numerosi nuovi fondi comuni di investimento con allocazioni di portafoglio decorrelate all’andamento dei principali mercati finanziari. Ovviamente questo a loro dire, soprattutto prendendo in considerazione i fondi market neutral e quelli di ritorno assoluto che proprio in questi ultimi tre mesi di neutral hanno avuto veramente poco. La quasi totalità dei piu conosciuti comparti di absolute return e/o di risk parity hanno deluso le aspettative di consulenti finanziari indipendenti e gestori di patrimonio in questa ultima parte dell’anno, soprattutto i comparti gestiti dalle case di investimento più grandi al mondo, segno che la tanto sbandierata capacità di smarcarsi dai prodotti a replica passiva, facendone la differenza, stenta per adesso a farsi vedere. Vi è di piu: proprio ora si vede il gestore capace da quello incapace. Realizzare performance tra il 2016 ed il 2017 grazie alla complicità accomodante delle banche centrali era quasi una formalità, lo abbiamo visto sui risultati a consuntivo. Ora invece in presenza di mutate condizioni macroeconomiche non più favorevoli all’andamento dei mercati finanziari si deve poter discriminare per individuare il gestore attivo veramente efficiente in grado di realizzare gli obiettivi di gestione. In prossimità dell’inizio del nuovo anno cercate pertanto di effettuare una disamina del vostro portafoglio analizzando i comparti che stanno deludendo le vostre aspettative, eventualmente smobilizzandoli in favore di altri più efficienti. Purtroppo il 2019 sembra iniziare con i peggiori auspici per i mercati finanziari tanto azionari quanto obbligazionari