Durante la prima metà del 2016, il Presidente della Federal Reserve, Janet Yellen, ha coniato per la prima volta la dicitura “New Normal” su cui in passato abbiamo già investigato. Sostanzialmente si è trattato di inventarsi qualcosa da offrire soprattutto alla stampa finanziaria per giustificare il livello dei tassi di interesse e la loro possibile evoluzione nel corso degli anni successivi. Con questa dicitura la Yellen ha voluto dire diplomaticamente che i tassi di interesse a cui eravamo abituati qualche anno fa, quando prestavamo denaro ad una nazione considerata molto solvente (rating AA o AAA) rappresentano un passato che difficilmente rivedremo nuovamente. Tradotto ancora più semplicemente significa che non vedremmo mai più titoli di stato di massimo rating con tassi di interessi annui al quattro o al cinque percento, almeno per quanto riguarda le economie avanzate. Pertanto se avete un BUND, un OAT, un BONOS o un BTP a quelle cedole tenetevelo stretto e portatelo alla sua naturale scadenza, perchè anche se oggi lo smobilizzate in anticipo ricavandone una plusvalenza notevole, successivamente vi dovrete anche voi chiedere: e adesso in che cosa reinvesto ? Chi amministra denaro altrui o deve autonomamente ricercare rendimento ed income si imbatte nelle conseguenze pratiche del New Normal. Il titolo del post infatti sta a significare: rendimento duro, arduo e difficile. Di questo infatti si parla nelle riunioni che fanno i private bankers o nei workshop organizzati dalle case di gestione per i loro promotori finanziari.
Come remunerare il capitale raccolto o che si gestisce in virtù dei tassi attuali e soprattutto dei rendimenti consuetudinari che sino a qualche anno fa si era abituati ad ottenere. L’impossibilità pratica e facile di ricercare rendimento sta creando degli squilibri finanziari a livello planetario che secondo numerosi analisti di prestigio internazionale saranno destinati molto presto a presentarci il conto. Proviamo a spiegarlo tecnicamente ed anche semplicemente. Ogni giorno si raccolgono capitali da investimento finanziario: lo fanno le banche, i fondi comuni, le società di gestione del risparmio, le assicurazioni e cosi via. Tutti questi operatori finanziari devono rispondere alla loro clientela che pretende rendimenti e crescita del capitale. La problematica maggiore è riconducibile alle necessità di remunerare il capitale a fronte di un livello di rischio praticamente assente. In Italia infatti i BTP People sono completamente allo sbando nel senso che al di là del rischio paese che oggi incorpora oggettivamente un titolo di stato italiano (Rating BBB), appare inquietante come questo rischio non sia adeguatamente remunerato. Un decennale di nuova emissione viaggia a quasi due punti percentuali: a fatica si copre la perdita del potere d’acquisto, ma soprattutto a fatica si produce un flusso cedolare cospicuo su cui in passato tanti italiani hanno costruito il loro benessere e la loro serenità finanziaria. Se andiamo su emissioni europee con rating di maggior conforto, il quadro si fa decisamente desolante: nella maggior parte dei casi infatti siete voi che dovete pagare per prestare denaro ad uno stato considerato molto solvibile.
Il New Normal presuppone che questo momento di mercato sia tutt’altro che passeggero e che invece si protragga per numerosi anni sino a diventare appunto la nuova normalità. Le motivazioni che inducono a trovare conferma a questa lettura sono riconducibili a tre fattori strutturali per le economie avanzate occidentali: debiti pubblici ormai abnormi ovunque, stallo demografico ed attuali sistemi previdenziali finanziariamente poco sostenibili. Ad aver esacerbato il tutto si aggiungono i programmi di QE delle banche centrali di USA, Europa e Giappone che con i loro programmi di espansione monetaria hanno riversato miliardi e miliardi di nuova liquidità in acquisti di titoli di stato, sul mercato primario e secondario, alterando nel tempo la loro quotazione in modo da influire sugli spread. La presenza limitata di emissioni di titoli di stato con tassi di interesse considerati interessanti unitamente al rialzo delle quotazioni dei sovereign bonds ha obbligato lentamente quasi tutti gli operatori istituzionali (quelli a cui la delega di gestione lo consente) a ricercare crescita e performance in altre attività finanziarie simili o surrogate. Sono nati pertanto i tanto sbandierati prodotti multi asset income, i fondi con strategie non direzionali ed gli strumenti market neutral, tutti con la finalità di proporre tassi di interesse superiori al quattro o cinque percento oltre alla rivalutazione del capitale investito. La necessità di remunerare il capitale ha messo il turbo anche a numerosi mercati azionari in forza del flusso di dividendi che viene distribuito. In sintesi estreme si è ormai arrivati ad investire anche nell’azionario pur di percepire il relativo flusso dei dividendi, come se fossero le cedole di un titolo di stato.
Quello che si dimentica è la natura e la volatilità di questi due mercati i quali in questo momento sono stati alterati proprio dalle dinamiche ed impatti dei diversi programmi di QE. Ormai si perde nella notte dei tempi il numero dei moniti che stanno arrivando sulla salita senza freni inibitori della borsa statunitense, sulle folli quotazioni dei governativi europei e sulla bassa (o inesistente) volatilità che caratterizza tradizionalmente i mercati azionari occidentali. In tal senso le banche centrali sono responsabili ancora una volta di aver prodotto le condizioni monetarie per il gonfiarsi di nuove bolle finanziarie, questa volta molto più pericolose e contagiose rispetto a quelle del 2008 o del 1999. Ricordiamo a titolo di cronaca infatti che il tanto vituperato fenomeno dei subprime si trasformò in un incubo finanziario per tutto il mondo sia per assenza di controlli e buon senso da parte delle preposte autorità di vigilanza finanziaria e sia soprattutto per la sconsiderata politica monetaria di Alan Greenspan (Governatore della FED) tra il 2002 ed il 2006. Per chi desidera rimanere con i piedi per terra, nella consapevolezza che esistono ancora piccole nicchie di mercato sui titoli di stato con potenziale di valore implicito in grado di offrire al tempo stesso rendimento e crescita decisamente notevoli rispetto alla media dei rendimenti europei potete trovare sul nuovo report finanziario Growth & Income un paniere di dieci titoli di stato nazionali e sovranazionali con rendimenti che oscillano tra il 5 ed il 9 per cento, suddivisi per categoria di rating e divisa di emissione, con quotazione di mercato ancora sotto la pari: come riportato all’interno del report, in considerazione del contesto macroeconomico complessivo nel tempo potrebbero trasformarsi in piacevoli sorprese.