L’Italia in questo momento storico avrebbe più bisogno della fat tax che della tanto decantata flat tax proprio con il fine di modificare la fiscalità diffusa e rendere più sostenibili i costi della spesa sanitaria. Andiamo per gradi, la fat tax (anche health tax) rappresenta un’imposta che colpisce sia direttamente che indirettamente il contribuente al fine di conseguire un duplice obiettivo: incentivare il perseguimento di un peso forma ideale mediante una tassa che è direttamente proporzionale al livello di obesità personale e disincentivare l’acquisto di cibi e bevande che sono principali responsabili dell’obesità soprattutto infantile attraverso l’applicazione specifica di accise dedicate. L’obesità ormai può essere considerata al pari di un’epidemia mortale in tutte le economie avanzate, l’unica differenza che la contraddistingue con il virus Ebola è la flemma con cui questa condizione fisica porta silenziosamente e inesorabilmente alla morte o ad altre patologie mortali. In una nazione in cui l’assistenza sanitaria copre interamente ogni sorta di malattia o patologia, scaricando sui contribuenti i costi di tali assistenza, diventa un must istituzionale intervenire al fine di alleviare la fiscalità diffusa e renderla sostenibile nel tempo. L’obesità costa parecchio, più di quanto si possa immaginare: una persona obesa oltre che essere una problema per se stesso, lo è anche per i conti pubblici del momento.
Generalmente una persona obesa può arrivare a costare al sistema sanitario nazionale anche il doppio rispetto ad una persona con un peso forma che rientra nei canoni della normalità. L’obesità è infatti la principale causa delle malattie odierne: diabete, disturbi cardiovascolari e cancro. Non dimentichiamo inoltre i problemi alle articolazioni, che non portano a morte fisica, ma incidono in misura elevata sui costi dell’assistenza sanitaria connessi all’applicazione di eventuali protesi agli arti inferiori in conseguenza di usura non convenzionale dovuta ad un eccesso di peso a carico delle stesse articolazioni. L’Italia un tempo era conosciuta come il Bel Paese anche per il suo regime alimentare a cui quasi tutta la popolazione faceva riferimento per la propria dieta alimentare. Qualcosa deve essere andato storto in poco tempo, infatti oggi i bambini italiani sono fra i più obesi in tutta Europa con un trend che non sembra invertirsi e nè arrestarsi. Chi è obeso durante la fase adolescenziale tende ad esserlo anche in età adulta nel 50% dei casi. Ormai siamo arrivati anche alla mancanza di buon senso: la madre di un figlio obeso nella metà dei casi ritiene il peso forma del proprio bambino assolutamente nella norma. In appena due decenni sono state sconvolte e stigmatizzate tutte le sane abitudini alimentari delle generazioni precedenti.
Consumo smodato e disinibito di zuccheri e bevande gassose, attività fisica ormai limitata dall’alzarsi dal letto per andare a sdraiarsi sul divano, diabolica assuefazione alle nuove tecnologie digitali (leggasi FOMO) e patetici giochi online che condannano ad una vita sedentaria. Non siamo tanto lontani dalla colonia umana spaziale di mega ciccioni che potete vedere nella pellicola di animazione Wall-E a marchio Disney Pixar. Dobbiamo aggiungere al tutto anche il fattore urbanizzazione nella società moderna, vale a dire che sempre più persone vivono (e scelgono di vivere) in grande aree metropolitane immerse nel cemento industriale in assenza di aree e spazi verdi, dove anche la semplice deambulazione appare un’attività sportiva estrema. L’obesità in Italia è stimata avere un impatto tra i 2 ed i 3 miliardi di euro all’anno, tanto quanto gli organi costituzionali. Stiamo parlando ovviamente dei costi diretti destinati tra l’altro alla loro continua ascesa in forza di un fenomeno in costante e preoccupante aumento. Dopo abbiamo anche i costi indiretti vale a dire la perdita di efficIenza e competitività in un mercato del lavoro in cui le persone obese sono presenti in misura significativa: per ovvie ragioni sono meno produttive (più lente, più stanche, più affaticate). In Italia ormai 1/3 della popolazione è considerata in sovrappeso e solo 1/10 in stato di obesità, dato in ogni caso confortante se paragonato agli USA dove oltre il 65% della popolazione è obesa ed il 25% addirittura iper obesa.
La tendenza appare ben delineata, se non si interverrà sistematicamente sul piano politico, entro due decenni anche l’Europa si avvicinerà agli standard statunitensi (attenzione che già oggi Germania e Regno Unito si trovano in una situazione di allarme sociale per l’obesità nazionale). Forse qualcuno si ricorderà del Governo Monti nel 2011 quando propose la Fat Tax per le bibite zuccherate (qualche centesimo di accisa su ogni bottiglia o lattina). Apriti cielo, si è scatenato l’inferno. Toccate tutto, ma non la Coca Cola & Company. La pressione delle lobby alimentari del junk food ha funzionato e tuttora continua a funzionare in quanto pur in presenza di un’emergenza nazionale (salute della popolazione e sostenibilità delle finanze pubbliche) nessuna forza politica si sogna di proporre tasse speciali sul cibo spazzatura e imposte personali (health tax) che siano correlate al proprio stato di salute sul genere dell’ISEE. Più sei obeso, più dovresti pagare. Potrebbe sembrare discriminatorio ed in taluni casi anche incostituzionale, ma rappresenta la strada obbligata per mantenere il sistema di assistenza sanitaria sostenibile generando consapevolezza e virtuosismo nei contribuenti. La finalità dell’imposta infatti indurrebbe il contribuente a conseguire comportamenti personali atti a monitorare e migliorare il più possibile il proprio stato di salute: di fatto la ricerca di un ottimale stato di benessere fisico rappresenta un interesse collettivo da difendere e preservare.