In quasi tutta Europa l’argomento più dibattuto mediaticamente parlando è rappresentato dalla crisi immigratoria: consiglio per chi lo può fare di ascoltare periodicamente anche le aperture dei telegiornali nazionali in Spagna, Francia e Germania all’interno della stessa giornata di modo da raffrontarle con quelle italiane. Il messaggio che viene fatto passare sotto traccia è sempre lo stesso: si devono accogliere i migranti, si deve soluzionare il fenomeno, si devono intervistare il più possibile personalità di un certo rilievo e visibilità che sono favorevoli e promuovono tale fenomeno di migrazione assistita e programmata. Ne abbiamo ampiamente fatto menzione all’interno di alcuni recenti video clip di come nel medio e lungo termine tale fenomeno avrà un impatto socioeconomico tale da compromettere la sostenibilità degli attuali meccanismi di protezione sociale europea. Quando sentite tale termine dovete idealmente pensare alla previdenza nazionale, all’assistenza sanitaria di base ed alle prestazioni di sostegno economico alle famiglie con limitati mezzi economici. Tuttavia il mantra mediatico quasi sempre annoverato richiama proprio le pensioni nazionali ed il fatto che le attuali genti africane importate in massa consentiranno invece la loro sostenibilità finanziaria. Questo mantra a forza di ripeterlo può rischiare di trasformarsi in una posticcia verità accettata per imposizione dall’alto in assenza di un riscontro di merito oggettivo.
In Spagna a seguito del recente cambio di governo successivo alle dimissioni di Rajoy, il tema pensioni è ritornato fortemente alla ribalta sia per giustificare in questo modo la nuova accoglienza iberica nei confronti delle navi in affitto alle varie ONG che si occupano di gestire il Servizio Taxi del Mediterraneo e sia per i numeri a consuntivo sui costi complessivi delle pensioni iberiche. Nel solo mese di giugno infatti los gastos por las pensiones (il costo delle pensioni) ha raggiunto un record storico mai visto negli anni prima tanto che si parla letteralmente di bomba finanziaria destinata a scoppiare molto presto. Questo lo riportano tanto quotidiani di sinistra quanto di destra: da ricordare che la Spagna ha un modello pensionistico, con privilegi degni di nota, che non si discosta molto da quello italiano. Recentemente sono stati intervistati da una nota trasmissione televisiva spagnola di investigazione giornalistica alcuni funzionari di banca ai quali è stato chiesto di raccontare quali sono le domande più frequenti che ricevono dalla loro clientela sul tema pensioni. Ebbene questo ha delineato un quadro allarmante: la maggior parte della clientela non ha ancora ben chiaro che le pensioni attuali sono insostenibili e che molto presto dovranno essere soggette a razionalizzazione per consentire il loro pagamento anche alle prossime generazioni. Soprattutto rincresce nell’evidenziare a questi stessi intervistati come l’attuale meccanismo perverso della previdenza nazionale impone a chi lavora di sostenere con la propria contribuzione (cotizacion) il pagamento delle rendite pensionistiche attuali.
Può risultare inquietante sapere che la stampa iberica definisce con grande disinvoltura la previdenza spagnola come un grande Schema Ponzi senza che questo crei particolare allarmismi soprattutto nei confronti dei soggetti percettori di pensioni. In taluni casi si arriva persino a parlare di Bomba Pensioni richiamando in causa il problema dei baby boomers ossia le generazioni di pensionati (nati tra il 1946 ed 1963) che ricevono più di chiunque altro importi di rendite pensionistiche sproporzionati rispetto alla contribuzione effettivamente versata. Esattamente come in Italia: solo che qui il tema è più politico di quanto si possa immaginare, vale a dire che chi governa non pensa ad accorciare l’età pensionabile o ad aumentare le pensioni, caso mai l’opposto, nella consapevolezza che questo permetta di conseguire la sostenibilità del sistema pensionistico. Questo approccio è frutto delle sofferenze che ha subito il paese con la crisi prima immobiliare e poi bancaria che ha messo la Spagna in ginocchio sociale ed in affanno economico per quasi dieci anni: in tal senso si vuole evitare il commettersi di nuovi errori epocali. Quello che vedo rispetto all’Italia è una maggiore consapevolezza (ma anche analfabetismo funzionale) sulla trattazione di questo tema, nel senso che anche i giovani sono più consapevoli che la loro futura pensione rappresenta un proprio asunto (un loro problema) e non una preoccupazione per lo Stato od il Governo.
In Spagna le dinamiche finanziarie della previdenza pubblica non sono affatto rincuoranti: solo nel 2017 il sistema pensionistico è stato in deficit per oltre 23 miliardi, ripianati con il contributo della fiscalità diffusa. In questo momento storico vi sono 18.5 milioni di lavoratori che mantengono con la loro contribuzione circa 9.5 milioni di pensionati spagnoli. Si tratta di un rapporto di 2 a 1 destinato purtroppo a scendere per le infelici dinamiche demografiche spagnole. Attualmente gli over 65 rappresentano il 18% della popolazione, nel 2030 saranno il 25% e nel 2060 oltre il 35%. Sono dati agghiaccianti in quanto entro 50 anni a queste medesime condizioni di trattamento economico e driver di decrescita demografica avremmo che ogni cento persone più o meno quindici lavoratori in Spagna si dovranno far carico di tutti gli oneri sociali (previdenza pubblica ed assistenza sanitaria) per gli altri 87. Chi governa è consapevole di questo scenario anche in Italia, tuttavia non si può permettere di intervenire per rendere il modello previdenziale più sostenibile ovviamente razionalizzando e tagliando la spesa previdenziale in quanto questo condurrebbe velocemente al suicidio politico. In termini giornalistici è stato creato il seguente termine per spiegare questo fenomeno ossia populismo electoralista. In un modo o in un altro, la bomba sulle pensioni è destinata a scoppiare, si tratta solo di capire da quale parte avverrà la detonazione, dalla parte delle istituzioni o dalla parte degli attuali beneficiari.