La nuova dialettica politica che è scaturita dalle recenti elezioni politiche in Italia si dibatte su due temi socioeconomici principali mediaticamente enfatizzati dalle due forze politiche che si contendono la leadership di governo: sto parlando di pensioni e sussidi di disoccupazione. Abbassare l’età pensionabile da una parte ed innalzare i meccanismi di assistenzialismo giovanile dall’altra. Chiaro che chi ha ricevuto molto consenso ha fatto leva su queste promesse o ipotesi di azione sociale. Chi voterebbe infatti un partito che sostiene l’allungamento dell’età pensionabile e la riduzione (sostanziale e temporale) dei sussidi di disoccupazione. Nessuno. Il partito invece che decidesse di implementare codesti punti decisamente impopolari andrebbe incontro ad un suicidio politico. Chi vuole continuare a vivere politicamente invece se ne deve ben guardare dal realizzare tali azioni di governo. Paradossalmente parlando l’Italia assieme ad altre nazioni europee non si può permettere di rimanere inerme innanzi a queste esigenze di ristrutturazione della previdenza ed assistenza pubblica. La motivazione a tale esternazione è una sola: demografia. Purtroppo. Dico purtroppo, in quanto non esistono espedienti macroeconomici tali da sopperire a tale fenomeno umano. Popolazione costantemente più anziana con una speranza di vita sempre più lunga, che anno dopo anno produce un diminuito apporto ai livelli di consumo i quali a loro volta determinano una contrazione dell’occupazione soprattutto nella popolazione più giovane. Recentemente abbiamo ricevuto i moniti dalla BCE di non modificare quanto attuato con la tanto vituperata riforma Fornero.
Con il rischio di ricevere insulti e denigrazioni, mi sento di dire che questa riforma nella sua sostanzialità ed essenza è sensata e lodevole, tuttavia l’averla implementata con troppa velocità e senza la dovuta concertazione tra le parti ha prodotto alcune spiacevoli conseguenze che tutti conosciamo (fenomeno degli esodati). Come si suol dire, la fretta è una cattiva consigliera. Al di là di questo, una nazione come la nostra ha (purtroppo) bisogno proprio di questo per consentire la sua sostenibilità a fronte degli eccessi e vergognose concessioni previdenziali che sono state effettuate in passato, su cui costituzionalmente parlando non è possibile intervenire. Attenzione che non si tratta solo dell’Italia anche Francia, Germania e Spagna vantano connotazioni similari: la generazione dei baby boomers (nati tra il 1946 ed il 1963) nelle economie avanzate è ormai pienamente a carico della fiscalità diffusa: tali persone, ricordiamolo ancora, vantano e possono godere di condizioni di previdenza ed assistenza che nessun’altra generazione prima e dopo di loro ha avuto o potrà avere. In più occasioni si è sentito utilizzare il termine di patto intergenerazionale, vale a dire che i giovani mantengono con il loro lavoro i diritti acquisiti degli anziani. In altri contesti la dialettica partorisce un’altra terminologia ossia il furto intergenerazionale. Chi governa e desidera ribilanciare questo scenario socioeconomico per puntare ad una credibile sostenibilità finanziaria degli attuali sistemi di welfare dovrebbe pertanto farsi votare da generazioni di elettori che in questo momento hanno quasi tutto da perdere con la promessa che quelle che arriveranno in futuro ne potranno pertanto beneficiare.
L’unico politico al mondo che ha proposto qualcosa di similare (pensando esclusivamente alle generazioni future) è stata Margaret Thatcher la cui poll tax produsse velocemente la sua ingloriosa caduta politica. Purtroppo l’elettore medio non è un essere intelligente e razionale, quanto piuttosto sanguigno, spesso animato da spirito di rivalsa emotiva. Ancora ad oggi ad esempio si vive in Italia pensando che la propria pensione sia un problema dello Stato o di chi governa, pertanto se ti azzardi a metterci le mani scordati il mio voto. Se la maggior parte degli italiani dedicasse tempo ad approfondire le dinamiche demografiche e previdenziali del proprio paese state certi che la sostenibilità delle rendite pensionistiche diventerebbe la priorità nazionale. Andate a spiegare il tutto a chi ha 70 o 80 anni: mission impossibile. Meglio inventarsi degli espedienti contabili per rendere sopportabili finanziariamente le loro rendite aspettando che nel frattempo sopraggiunga la morte naturale. Dura lex, sed lex: è quello che sta accadendo di fatto. Acquistare tempo, per dare allo stesso il modo di soluzionare il tutto senza impatti spiacevoli sui propri elettori. Ne abbiamo parlato anche in precedenti post, la pensione dipende da te, dimenticati del Governo e dello Stato. Chi ha 40 anni forse ha ancora il modo di evitare di morire in uno stato di indigenza economica. Provate a chiedere ad uno di trent’anni (magari anche laureato) che cosa sono e quali sono i tre pilastri della sua previdenza. Soprattutto chiedetegli che cosa sta facendo a riguardo: meno dell’80% della popolazione ha infatti una forma di previdenza complementare di entità significativa (non i ridicoli 50 euro mensili del PAC).
Cercate per questo di proiettarvi avanti con il pensiero ed immaginare un paese sempre più vecchio, con giovani capaci che se ne vanno e quelli che rimangono sono quasi tutti mummy boy in attesa del lavoro tanto sognato, servito e riverito. Su questo quadro aggiungete quasi un quarto della popolazione che non sarà autoctona ma sarà stata importata (o lasciata volontariamente entrare) dallo status quo vigente. Quando tali risorse umane avranno un peso demografico significativo e riusciranno ad organizzarsi politicamente, dubito profondamente che accetteranno di lavorare per pagare corpose rendite e forme di assistenza sanitaria ad anziani italiani, soprattutto quando si renderanno conto del coefficiente di conversione che sarà loro riconosciuto. Probabilmente i tagli lineari tanto decantati i questi anni arriveranno proprio con questa prospettiva. La tua pensione dipende da te, non lasciare alla discrezionalità di altri questo aspetto fondamentale della tua vita. Il primo pilastro è per definizione la previdenza statale, quello che si impegna a riconoscerti lo Stato in cui vivi a fronte del tuo background lavorativo: una volta era il pilastro maggiormente portante. Il secondo pilastro è rappresentato dalla previdenza complementare su base volontaria e collettiva, che può manifestarsi in molteplici forme come la casse di previdenza professionali, i fondi pensione di categoria o anche gli accantonamenti mensili del proprio TFR. Il secondo pilastro è destinato a diventare quello principale per il proprio sostentamento economico. Infine il terzo, quello rappresentativo della previdenza integrativa discrezionale mediante prodotti a capitale garantito o piani di accumulo destinati a convertirsi in un futuro vitalizio.