Quello che apprenderete con la lettura di questo editoriale cambierà per sempre la vostra concezione dell’oro come bene rifugio. Durante il secondo trimestre dell’anno quando eravamo in piena pandemia di coronavirus di Wuhan i piccoli investitori hanno riscoperto il metallo giallo come bene rifugio in forza del panic selling che ha colpito pesantemente e velocemente tutte le asset class. Sin dalle prime avvisaglie di epidemia diffusa in Cina a fine 2019 l’oro ha messo il turbo passando da 1500 a 1700 dollari per oncia in poche settimane. Ciò nonostante, a seguito del Black Thursday del 2020 (nello specifico il 12 Marzo), anche l’oro è collassato velocemente nelle sedute successive portandosi sotto la soglia dei 1500 dollari. Per farla breve i gestori dei fondi comuni di investimento hanno dovuto liquidare quello che potevano liquidare e non quello che volevano per far fronte alle richieste di riscatto della propria clientela. Cosi facendo l’oro che era presente all’interno dei fondi in qualità di componente protettiva è stato venduto senza molti scrupoli.
Una volta passato il peggio della tempesta finanziaria, soprattutto in forza delle reti di protezione finanziaria varate dalle autorità sovranazionali, il denaro ha ripreso ad affluire nuovamente in acquisto sul metallo giallo tanto da portarlo in pochi mesi alla soglia dei 1800 dollari l’oncia. Il metallo giallo in questo momento si trova a circa 100 dollari dal record storico degli ultimi vent’anni ossia i 1900 dollari toccati durante l’estate del 2011 quando impazzava la crisi del debito sovrano europeo e tutto il mondo temeva che l’euro avesse i giorni contati. Quella crisi se qualcuno torna indietro con la memoria ha favorito la caduta del Governo Berlusconi il quale alla fine ha scelto di dimettersi spontaneamente aprendo la strada al governo tecnico di Monti. Sappiamo come è andata a finire dopo. In termini di price action la quotazione dell’oro successivamente a quel momento di elevata tensione e preoccupazione finanziaria ha iniziato un lento e progressivo declino che ha visto un nuovo minimo relativo a 1000 dollari l’oncia verso la fine del 2015: quindi una contrazione di 800 dollari l’oncia dai massimi con una performance negativa di quasi il 40%.
La domanda principe che si fanno molti investitori retail è se convenga o meno investire in oro e se tale convinzione tematica debba essere mantenuta nel medio e lungo termine. La mia risposta è dipende, e nello specifico dipende dal costo di estrazione. Andiamo per gradi e proviamo a spiegarlo tecnicamente e finanziariamente. L’oro è un asset class difensiva con un andamento tipicamente ciclico. Questo significa che sale e scende a seconda di determinati cicli di espansione e contrazione economica i quali a loro volta devono essere confrontati anche con l’andamento dei costi di estrazione dello stesso metallo giallo e del cross eur/usd qualora siate europei. Per fare un esempio pratico: se aveste investito come statunitensi in oro durante il 2011 quando la crisi dei PIGS era in pieno svolgimento, oggi (quasi dieci anni dopo) vi trovereste in territorio negativo. La cosa sarebbe diversa se aveste investito in oro qualche anno dopo dopo il famoso what ever it takes di Mario Draghi del 2012. Per dare una prima chiave di lettura: l’oro si dovrebbe smobilizzare in prossimità e nel pieno di una crisi finanziaria e lo si dovrebbe acquistare quando i mercati finanziari sono spinti dal vento in poppa e godono (presumibilmente) di ottima salute.
Generalmente gli investitori retail fanno il contrario. Un secondo elemento di analisi che non viene mai considerato è il livello dei costi di produzione del metallo giallo. Sul piano pratico infatti si dovrebbe acquistare oro in chiave strategica di investimento quando il prezzo di mercato è prossimo ai costi di produzione (che vengono definiti all-in sustaining costs). Più la quotazione è lontana dai costi di produzione maggiore sarà la probabilità di perdere denaro con l’investimento e viceversa. Ad esempio il bull run iniziato nei primi anni del 2000 i costi di produzione erano stimati intorno ai 200 dollari l’oncia, mentre la quotazione oscillava tra i 220 ed i 250 dollari. La recente bull run iniziata nel 2016, i costi di produzione erano stimati tra i 910/920 dollari l’oncia, mentre la quotazione si assestava sui 1.000 dollari. In questo momento di mercato gli all-in sustaing cost per il 2020 sono stimati essere inferiori a quelli del 2019 grazie alla recente contrazione del prezzo del petrolio, il quale impatta proporzionalmente sulla determinazione del prezzo. Per approfondimenti potete leggere il seguente outlook del Wolrld Gold Council. Attenzione: chi investe come europeo deve considerare anche gli effetti e l’evoluzione del cross eur/usd nel medio termine.