NUOVI LIMITI AI DEPOSITI

Lo scorso anno è uscito Principles, un saggio economico di Raymond Dalio che consiglio vivamente di leggere con avidità: stiamo parlando del fondatore e gestore di uno dei più grandi fondi hedge al mondo, Bridgewater Associates. In queste settimane sta girando per la Spagna, visto che sua moglie è originaria della nazione iberica, rilasciando interviste ai principali quotidiani nazionali. Il suo outlook macroeconomico prevede verso il 2020 in prossimità delle nuove elezioni statunitensi una nuova crisi finanziaria mondiale molto simile a quella degli anni Trenta. La sua macroanalisi è corroborata dalle analogie di quell’epoca con i giorni odierni: eccesso di debito a livello retail con sovrapproduzione industriale, banche centrali ormai prive di efficaci strumenti monetari ed ascesa trasversale del populismo in tutte le economie avanzate. Proprio l’Unione Europea è uscita dalla Grande Recessione del 2008/2009 con un assetto istituzionale rafforzato, tuttavia incompleto ed incapace di far fronte ad uno scenario di pesante contrazione economica. Ne siamo piuttosto certi di questo, in quanto dopo il famoso “whatever it takes” di Mario Draghi nel 2012 sono state concepite delle reti di protezione finanziaria che hanno contenuto l’aggressione ai debiti sovrani ed alle banche sistemiche europee, ma non hanno portato a quella che doveva essere la meta finale della road map concepita in quell’epoca ossia l’unione politica e fiscale dell’Europa.

Non dimentichiamo in tal senso che nell’estate del 2015 andava in scena la tragedia greca con il noto referendum indetto da Tsipras, a dimostrazione di uno stato complessivo di perenne fragilità. Ulteriore conferma del nostro stato di debilità è dovuto alla mancata formalizzazione degli eurobond che potrebbero rafforzare significativamente tutti i paesi europei o la nomina di un super ministro per l’economia europea con poteri in taluni casi superiori a quelli dei rispettivi primi ministri nazionali (con le dovute cautele e limitazioni di intervento). Il Dipartimento di Studi di Politica Economica Europea della London School of Economics ritiene che la prossima crisi finanziaria rappresenterà un bivio per l’Unione Europea e soprattutto l’euro: o si rafforzerà al punto tale da diventare invincibile oppure collasserà su se stessa trascinandosi dietro l’incognita euro. L’attuale establishment europeo sta lavorando alacremente per intensificare gli sforzi al fine di raggiungere la tanto agognata Unione Bancaria Europea, la quale consentirebbe di aumentare le difese e protezioni degli istituti di credito europeo a livello internazionale. Sono soprattutto Germania e Francia, per voce di Merkel e Macron, che stanno facendo pressing in tal senso. Tuttavia visto l’attuale consenso elettorale sia il primo che il secondo rischiano di essere messi in disparte molto presto a seguito del colpo di spugna che avrà la nuova composizione politica del parlamento europeo all’inizio del secondo semestre del 2019.

Unione Bancarie e Politica rimangono pertanto ancora nel limbo solo per pochi mesi: successivamente potrebbero essere completamente essere fronteggiate da forze populiste che presidieranno in maggioranza i seggi in Parlamento a Bruxelles. Lo hanno battezzato l’italian nightmare ossia il fatto che quanto accaduto in Italia durante la prima metà dell’anno si possa concretizzare anche in Europa, con un cambio di governance nelle istituzioni sovranazionali inaspettato sino a qualche anno fa. In parallelo ci sarà anche il cambio della guardia alla guida della BCE con la nomina di un falco (forse il tedesco Jens Weidmann). Tra le tante misure innovative che presuppone l’Unione Bancaria in Europa vi il meccanismo di intervento a protezione dei depositi che prevede un abbassamento consistente degli attuali livelli di garanzia (scordatevi i 100.000 euro che saranno invece sostituiti da un massimo di 30.000 euro). Lo scopo di questa misura è limitare il rischio bancario per ogni ecosistema bancario a livello nazionale, spostando pertanto sui correntisti e depositanti l’onore di affidarsi a banche il più possibile solvibili e patrimonialmente solide. Questo aspetto produrrà infatti una naturale selezione di mercato che premierà la raccolta delle banche considerate più sicure e farà emergere quelle più deboli e critiche che saranno successivamente invitate a fondersi con altre nelle medesime condizioni o a ricapitalizzarsi.

Questo pressing inoltre favorirebbe l’ulteriore stabilizzazione delle banche sistemiche che dovrebbero pertanto, al fine di essere ben viste da analisti e società di revisione, dare avvio ad una strutturata dismissione degli attivi considerati ancora tossici oltre al contenimento all’interno del proprio portafoglio degli strumenti di debito nazionale. Vale a dire incentivare lo smobilizzo delle poste di bilancio di difficile remissione e razionalizzare la detenzione di titoli di stato riconducibile al rischio paese: evitare pertanto la concentrazione di debito pubblico all’interno di un singolo istituto di credito, su questo tema il nostro paese è ancora molto vulnerabile. Visto con un occhio critico e non polemico, questo darebbe avvio ad un circolo virtuoso che produrrebbe un rafforzamento strutturale di tutto il sistema bancario nazionale. Un ulteriore passaggio in avanti presuppone anche la caduta delle barriere di ingresso al mercato: vale a dire che una banca italiana potrebbe agilmente iniziare ad operare sul mercato spagnolo, tanto quanto una banca portoghese su quello francese. Le attività trasfrontaliere consentirebbero pertanto alle banche europee di sgravarsi dalle dinamiche congiunturali negative della propria nazione di appartenenza. Se le banche europee iniziano ad integrarsi nei rispettivi mercati nazionali questo produrrà un sensibile miglioramento ed efficientamento nel mercato dei capitali favorendo il finanziamento alle piccole e medie imprese.

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