Alcune settimane fa sono stato ospite di un conviviale organizzato da un’associazione di piccole e medie imprese operanti in Veneto, il tema che ho trattato durante la mia esposizione era incentrato sull’evoluzione dell’attuale scenario economico e di richiamo anche su quello politico. All’incontro hanno partecipato anche numerosi professionisti (notai, commercialisti, avvocati ed architetti) invitati come auditor esterni. Come sempre alla fine dell’evento è stata organizzata una cena istituzionale cui hanno partecipato tutti i presenti. Al di là delle tematiche finanziarie molto calde del momento (bail-in, banche venete e deterioramento economico cinese) che hanno interessato i commensali più che altro per proprie preoccupazioni finanziarie personali, arrivati al momento del dessert, il fulcro della conversazione si è spostato sulla politica italiana. Quasi tutti quelli che sedevano al tavolo con me hanno esternato il proprio disgusto e ribrezzo per questo o quel partito, facendo presente di come al momento non si intraveda nessuna oggettiva speranza di miglioramento della governance per l’intero paese. A quel punto ho calato l’asso. Ho posto a ognuno di loro il seguente quesito, da domani siete il primo ministro in Italia, ditemi i primi tre provvedimenti che attuereste, anche senza un’idea pratica di copertura finanziaria. Sedevano con me allo stesso tavolo, imprenditori molto affermati sul loro settore, due avvocati, un commercialista e svariati consulenti di direzione aziendale. Non sono riuscito a raccogliere risposte esaustive e soprattutto complete. Nel senso che qualcuno ha farfugliato il mantra di togliere i privilegi ai politici, qualcun altro di abbattere la pressione fiscale, qualcun altro ancora di far funzionare la giustizia. A questa voce ho calato allora il secondo asso. Ho chiesto ai due avvocati presenti, che cosa proporrebbero per risolvere gran parte dei problemi della giustizia italiana se fossero a capo del relativo ministero. Nessuno dei due è riuscito a elencare tre specifici interventi mirati da implementare, si sono limitati a inveire nei confronti della magistratura e nella classe politica precedente che ha messo mano alla prescrizione per alcuni reati.
Per me non è una novità che tanto imprenditori quanto professionisti non abbiano almeno tre punti ben chiari su cui intervenire per tentare di avviare un’operazione di risanamento nazionale. Non so spiegarmi da cosa dipenda questa incapacità, tuttavia ho riscontrato che è sempre più diffusa trasversalmente. Se parlate con uno a caso dei vostri conoscenti vi dirà anche lui che è necessario ridimensionare o proprio abolire i vari privilegi politici di chi ci governa, dai vitalizi alle auto blu. Fosse veramente quello il problema in Italia, allora potremmo avere ancora una speranza. Di altra natura e spessore sono le aree di intervento cui dovremmo concentrarci. Recentemente abbiamo recepito le nuove proiezioni demografiche dell’ISTAT che evidenziano un paese ormai in default demografico, default attribuibile tanto alla crisi delle nascite ai minimi dal 1946 e dalla diaspora di nostri connazionali verso altri paesi (oltre centomila nel 2015) che cercano una scialuppa di salvataggio per la loro azienda, per la loro famiglia e per la loro pensione. Lo scorso anno una città grande come Vicenza si è trasferita fuori dai confini italiani, trascinando con sé imprenditori, esodati, pensionati e laureati. Chi crede alla propaganda del regime renziano di un futuro migliore o della favola “la volta buona” è un povero illuso. Il destino della nostra nazione è scritto da ormai più di un decennio, faremo la stessa ingloriosa fine degli Etruschi.
Questa antica popolazione italica vissuta per lo più nel centro della penisola è stata il focolaio di origine della civiltà italiana. Proprio come gli Etruschi influenzarono in misura significativa le popolazioni che occuparono la penisola dopo il loro declino, così allo stesso modo abbiamo fatto noi italiani con il resto del mondo, sino all’avvento delle spinte e pressioni globalizzanti a cui ci siamo arresi. Gli Etruschi non rappresentavano più di tanto un unico ceppo etnico quanto piuttosto un’insieme di diverse popolazioni accomunate da lingua, usanza e religione (pensate alle nostre regioni attuali al riguardo) oltre che ad una medesima forma amministrativa, le città-stato. Il loro declino, dopo i fasti e l’epopea di un’espansione dirompente tanto a Nord quanto a Sud (pensiamo al Miracolo Economico) fu causato proprio dalla lenta e progressiva decadenza e inadeguatezza dei loro centri amministrativi, incapaci di contrastare e contenere in ottica di regia sovrana l’emersione di altre civiltà allora più pragmatiche, Roma a Sud e i Celti a Nord (pensate all’Asia ed all’Africa nel nostro caso). Al lento declino susseguì il dissolvimento sociale, proprio come sta avvenendo in Italia. L’unico espediente che possa in questo momento produrre (forse) un mutamento di scenario atteso, modificando le sorti che ci stanno attendendo, è rappresentato da uno shock fiscale di portata dirompente. Una massiva manovra di riassestamento ed abbattimento della spesa pubblica di almeno 200 miliardi che possa permettere un abbassamento sostanziale di oltre una dozzina di punti percentuali nella tassazione corporate e personal, oltre all’eliminazione di imposte introdotte con finalità sperequative (tipo l’irap o la tassazione sui risparmi e gli immobili), aumentando in questo modo a parità di salario o rendita, il reddito netto disponibile.
I capitoli di spesa da colpire sarebbero individuabili in due grandi fronti, pensioni e welfare (assistenza sanitaria) oltre al ridimensionamento di talune poste contabili tanto denigrate dall’opinione pubblica, come gli oneri di mantenimento degli organi costituzionali. L’Italia non è finanziariamente in grado di rendere sostenibili tali comparti dello stato sociale in termini di fruibilità nei successivi dieci anni, esponendosi inoltre, visto il loro costante accrescimento, a compromettere anche la sostenibilità dello stesso debito pubblico. Per il nostro paese si parla da alcuni anni di scenario sempre più simile a quello ellenico, e proprio come ha fatto la Grecia si continua a posticipare e spostare in avanti sino al punto in cui non si potrà più farlo. Per la cronaca, per far comprendere a chi legge che cosa dovrà digerire il parlamento greco nei prossimi mesi, vi è in cantiere una riforma strutturale (su pressione dell’Europa post prestito ponte) volta a istituire un importo di pensione uniforme su base nazionale pari al 60% del reddito medio netto calcolato dal relativo istituto di statistica nazionale. Significa in sintesi che sulle pensioni (se passerà la riforma) si assisterà ad un’operazione tabula rasa (mai visto prima) in cui tutte le pensioni oggi erogate verranno azzerate e sostituite da un vitalizio comune per tutti i pensionati a prescindere dal loro passato lavorativo. Lo stesso importo tanto al top manager quanto al bracciante agricolo, questo per consentire una vita decorosa a tutti dopo l’uscita dal mercato del lavoro (la vera essenza del socialismo). Quindi chi oggi ha una pensione molto elevata o sopra la media o artificiosamente alta grazie a contributi previdenziali figurativi, vedrà abbattersi la scure. A tal punto i versamenti previdenziali verranno sostituiti e riconfigurati in oneri fiscali. Qualcosa di similare colpirà presto anche l’Italia e altri paesi europei come Francia, Finlandia & Company che hanno hanno oggi un peso insostenibile del welfare rapportato al loro PIL. Si tratta solo di aspettare. Non penso di sbagliarmi di tanto.