Tratto dall’introduzione al nuovo pamphlet Eurocracy, a cura di Gianluca Versace: Saper dimenticare è un’arte o è una fortuna ? Direi, per esperienza diretta, che è una strana fortuna. Che richiede un’arte. Imparala e mettila da parte, esorta un vecchio adagio. Tuttavia, le cose che si vorrebbero dimenticare, sono le cose di cui meglio ci si ricorda. Chissà perché. Io, per mestiere, faccio uso costante del muscolo della memoria. Mi muovo ogni santo giorno in una specie di mio percorso crossfit del ricordo. Finché posso, quindi, a corpo libero, come nella disciplina di rafforzamento e condizionamento fisico creato da Greg Glassman e Lauren Jenai. Senza protesi o diavolerie tecnologiche. Diciamo, a corpo e mente libera. Poi, quando proprio non ne posso più fare a meno, mi attacco alle macchine multifunzione: archivi e rete, possono venire in soccorso dei miei vuoti. Ma resto convinto che la notizia più dirompente, più rivoluzionaria, è la memoria. Ricordare è tutto ciò che possiamo fare, per iniziare a cambiare. Pare un paradosso, ma è la nostra memoria, pertanto, che costituisce (e sostituisce) la classica sfera di cristallo di maghi e indovini. Mentre giro tra le mani una copia il nostro precedente (e fortunato) “Neurolandia”, mi rendo conto che anche la qualità di Eugenio Benetazzo sia, anzitutto, quella di non dimenticare.
Queste sono le sue solide radici: naturalmente, ci sono in lui la competenza e la preparazione, che ne fanno un economista autorevole ed indipendente, con una sua integrità e credibilità. Insomma un esperto seguito e qualificato: ma così, direte voi, ce ne sono molti al mondo. E poi c’è la chiaroveggenza, quel talento unico, prezioso, di saper vedere “prima di altri” gli eventi. Un talento che nasce dall’impegno, dall’autodisciplina per non disperdere la lezione che ci lascia il passato. Perché chi ha una memoria fatta di cenere e di vento, è destinato a ricadere negli stessi errori già commessi. E così, con questa capacità, ce ne sono pochissimi. A volte, Eugenio mi sembra così avanti che, quando si volta indietro, vede il domani. Io credo che chi incarni doti così rare, abbia quasi un dovere morale, una mission, se non un imperativo categorico: condividere il suo “dono” con le brave persone, i cittadini perbene, quelli che costituiscono da sempre la maggioranza silenziosa e calpestata, la spina dorsale di questa Italia in declino, avvitata in una spirale di crisi inarrestabile. Quindi rieccoci, in questa nuova avventura editoriale, che come vedete abbiamo intitolato Eurocracy ossia la burocrazia impersonata dai cosiddetti euroburocrati. Pensiamo che “Eurocracy” sia il libro giusto al momento giusto, cioè purtroppo il peggiore per noi cittadini, terrorizzati come siamo di precipitare e sfracellarci nel burrone.
Attenzione. Eurocracy non è un mantra, non offre occasioni per gesti scaramantici, non rassicura, né addolcisce. Non è un gratta e vinci, un ansiolitico o una polizza di rassicurazione: queste che leggerete, sono pagine nate dall’impegno alla verità. Alla libertà di giudizio. Alla chiarezza espositiva. E sono un farmaco molto efficace, contro l’epidemia dilagante della smemoratezza collettiva. Che, da sempre, fa il gioco dei potenti e dei loro maggiordomi. La supremazia del presente è al servizio del dispotismo del potere. E un’altra cosetta. La condizione che ho sempre posto a Eugenio (accettata) è un po’ il dato genetico del mio fare informazione, al servizio dei telespettatori di Canale Italia (quando sono in onda), o dei lettori, quando scrivo. Chiamare le cose con il loro nome. Sempre. Sennò faremmo come quel vescovo medievale che, un venerdì santo, mentre si accingeva ad addentare una succulenta bistecca al sangue, fu redarguito da un confratello: “Ma abbiamo cucinato la carne, dovremmo mangiare di magro!”. E il vescovo trovò la soluzione, dopo un attimo di smarrimento. Fece il segno della croce sul piatto e disse di rimando: “Allora ego de baptizo piscem!”. No, in queste pagine, vedrete che la carne non diventa pesce e viceversa. Ricordo un episodio che mi capitò, anni fa, dopo una diretta: avevo parlato dell’aumento esponenziale, assurdo dei prezzi al consumo, dopo il change over tra lira ed euro. Dissi, senza circonlocuzioni, che dipendeva certamente dai commercianti. Era loro responsabilità diretta ed era una loro decisione.
Gli uffici stampa di un paio di organizzazioni di categoria mi ingiunsero subito di rettificare, per il mio bene: “No, dottor Versace, i rincari sono causati dalla filiera distributiva, i prezzi sono raddoppiati nel passaggio tra lira ed euro perché la situazione disfunzionale del comparto è assai complessa ed il problema è ben altro”. Al solito, il problema “è ben altro”. La stessa cosa mi capitò con i notai, quando ricordai che trovavo questa figura corporativisticamente medioevale e presente non in tutta Europa: la corporazione insorse e si lamentò vibratamente con il mio editore. Che per fortuna mia, si fece una risata. In Eurocracy il problema non è “ben altro”: quindi troverete cause ed effetti, precedenti e conseguenze, protagonisti e antagonisti. E tutti con il loro nome. Noi sappiamo troppo poco (e male) di quel che ci sta succedendo. La colpa è sicuramente dei media di regime che fanno da grancassa interessata ai potenti. E della nostra pigrizia e disillusione, che ci rendono complici, dei primi e dei secondi. Per capire, per conoscere e poter decidere sul proprio futuro, occorre inforcare degli occhiali che ci facciamo vedere bene, in mezzo al denso, acre fumo della disinformazione, delle mistificazioni e manipolazioni: Eurocracy vi offre queste lenti focali. Vi presta la chiave per non venire travolti. Per camminare fianco a fianco con il proprio tempo, cercando di cogliere il significato vero del cambiamento in atto, partendo sempre dalle sue necessarie premesse. Per partecipare alla costruzione del nostro destino, di popolo e di singole persone. Perché nei momenti di crisi, non conta quello che si inventa, ma quello che si custodisce. La storia della nostra libertà.