Il 2022 sembra essere destinato ad essere ricordato come l’annus horribilis per gli investitori retails: purtroppo lo scenario macroeconomico mondiale sin da inizio di gennaio è andato gradualmente in continua fase di deterioramento. Le aspettative per una recovery totale post pandemia di covid che si avevano verso la fine del 2021 si sono ormai compromesse: i tre drivers di mercato che hanno creato un nuovo ordine mondiale sono in ordine, prima il conflitto militare tra Russia ed Ucraina, dopo una inflazione molto aggressiva destinata a durare per almeno due anni ed infine la ricomparsa delle misure di lockdown in Cina in conseguenza di una severa politica di gestione del contagio che sta obbligando dozzine di milioni di cinesi al confinamento domiciliare forzato. Analizzando le performance delle varie asset class da inizio anno, non si incontrano tipologie di comparti finanziari in equity positiva: solo alcuni settori, tra l’altro molto volatili, stanno offrendo performance positive come il settore petrolifero e quello dei metalli industriali.
Non troviamo fondi flessibili o market neutral in grado di aver prodotto alfa, almeno sino ai primi quattro mesi dell’anno: i comparti più colpiti sono quelli esposti tanto ai titoli tecnologici in stile growth, che potrebbero ancora proseguire nella loro discesa (il caso Netflix ha ormai fatto scuola). La tecnologia soffre per le ripercussioni alle catene di approviggionamento, causa restrizioni alle esportazioni imposte alla Russia e per un graduale ritorno alla normalità nelle attività di consumo nelle economie avanzate che riequilibrano la domanda per beni e servizi verso aziende touch (durante la pandemia abbiamo invece assistito alla dominazione delle aziende no-touch in quasi tutti i settori economici). Il settore tecnologico ad ogni modo paga anche il cambio di politica monetaria, mettendo in difficoltà le imprese growth con elevato indebitamento per supportare i processi di crescita aziendale, in cui la redditività viene spostata negli anni futuri. La crisi geopolitica e socioeconomica in Europa Orientale ha deteriorato l’outlook economico per il Vecchio Continente, che ora rischia di diventare la peggior macro area geografica al mondo per le conseguenze dirette ed indirette del conflitto.
Il conflitto in Ucraina rischia di trascinarsi per svariati anni: le restrizioni finanziarie imposte alla Russia hanno colpito anche tutti gli strumenti finanziari quotati sui mercati europei collegati o correlati al rublo russo ed alla Borsa di Mosca [MOEX] come certificarti, ETF ed obbligazioni sovranazionali (BEI, BIRS, BM), che risultano pertanto congelate a tempo indeterminato, impattando negativamente sui NAV dei fondi di investimento che le detengono in portafoglio. Da quando è iniziata la guerra l’euro ha perso oltre l’8% contro il dollaro, appare sempre più plausibile il raggiungimento della parità qualora il conflitto dovesse ampliare il suo raggio d’azione, a causa del discutibile supporto europeo sotto la regia statunitense. L’oro non sta dimostrando di proteggere chi lo detiene, anzi appare piuttosto debole come forza relativa, la stessa cosa si potrebbe dire per gli altri metalli preziosi. Il Bitcoin che avrebbe dovuto essere invece l’oro digitale, capace di far fronte alle ondate di inflazione ed alla turbolenza dei mercati finanziari tradizionali, si sta dimostrando da mesi fortemente correlato al Nasdaq: tutte le altcoins di alta e media capitalizzazione seguono a ruota. Una ulteriore debolezza del Nasdaq impatterà sulla cryptosfera esacerbando le quotazioni.
I mercati obbligazionari stanno soffrendo da mesi a causa della paura per una inflazione prolungata e per il ridimensionamento dei programmi di QE da parte sia della FED che della BCE: in particolar modo negli USA si scontano già tre rialzi dei tassi entro la fine dell’anno. La Cina, che è stata il motore del mondo durante la pandemia, rischia ora di rallentare vistosamente mettendo in difficoltà la ripresa nelle economie avanzate. Entro sei mesi andranno in scena due eventi politici che potrebbero mutare gli attuali equilibri tra USA e Cina: da una parte le elezioni di Mid Term (che darebbero l’Amministrazione Biden in difficoltà) e dall’altra il XX Congresso del Partito Comunista Cinese, al cui interno iniziano a manifestarsi correnti dissidenti verso l’autoritarismo di Xi Jinping. In definitiva quello che emerge farebbe dire: No Bonds, No Equity, No Commodity, No Gold, No Crypto, No Tech, No Cina. Qualcuno a questo punto potrebbe richiamare il vecchio detto Cash is King, che purtroppo non vi difenderebbe in questo caso, anzi, vi espone ad una perdita certa tra il 15% ed il 20% se rimarrete parcheggiati in liquidità non investita per i prossimi due anni, causa erosione del potere d’acquisto per una inflazione selvaggia. Da pregare che il conflitto in Europa Orientale non passi ad un livello di scontro per ora da pochi immaginato, in questo caso infatti le conseguenze sarebbero devastanti sia sul piano umano che finanziario, ben peggiori di quanto abbiamo assistito durante i due anni di pandemia.