In qualità di ospite esterno, ho assistito lo scorso sabato allo svolgimento dell’assemblea straordinaria della Banca Popolare di Vicenza per la fatidica trasformazione in società per azioni da società cooperativa. Ho potuto seguire l’intera assise dalla sala stampa allestita a lato del capannone industriale in cui si è svolta invece l’assemblea di tutti gli azionisti (ora si chiamano così, prima erano tecnicamente soci). Erano presenti fisicamente più di cinquemila azionisti ed altrettanti erano invece rappresentati mediante delega ad altri azionisti in assemblea. Il fabbricato industriale di terzi che è stato scelto per dare ospitalità all’evento era blindato e sorvegliato quasi quanto una riunione del G8. Polizia, vigili urbani, digos con cani poliziotto, forze di sicurezza private, carabinieri, reparti speciali antisommossa, non mancava nessuno. A dire il vero, qualcuno di rilievo mancava: quasi tutto il consiglio di amministrazione attualmente in carica capitanato da Gianni Zonin, anche lui assente d’eccellenza, sul quale giravano voci in assemblea che si trovasse in buon ritiro in qualche paese sudamericano. Gran parte dei consiglieri di amministrazione ci hanno pensato bene prima di presentarsi davanti agli azionisti visto che il rischio di linciaggio si percepiva fin dai giorni prima. Gianni Zonin sognava che la Banca Popolare di Vicenza, sotto la sua guida, diventasse una grande banca italiana le cui gesta sarebbero rieccheggiate in tutto il mondo. Così è stato, ma non nel senso che intendeva l’imprenditore vicentino della omonima casa vinicola. Il caso Banca Popolare di Vicenza è diventato ormai uno scandalo finanziario più aberrante ed ingombrante, anche per le autorità di vigilanza bancaria, di quello prodotto dal Monte dei Paschi, i cui strascichi e rischi sia per la banca che per i suoi attuali azionisti sono tutt’altro che definiti ancora oggi.
Le azioni di questa banca veneta hanno subito un tonfo delle loro valutazioni del 90% in meno di nove mesi ed i valori possibili di realizzo, stando alle più autorevoli ipotesi post-quotazione, prevedono una ulteriore discesa non appena la banca arriverà alla quotazione. Già perchè questo è il punto principale di discussione ossia la perdita di governance sulla banca da parte dell’attuale azionariato non appena l’istituto di credito accederà al mercato telematico. Sabato scorso si è sostanzialmente dato l’addio al voto capitario aprendo pertanto il vaso di pandora alla plutocrazia; d’ora innanzi infatti si potranno esprimere in seduta assembleare tanti voti quanti saranno le azioni a propria detenzione. Potete voi stessi immaginare che peso avranno i piccoli e poveri azionisti storici o quelli recentemente acquisiti con la sottoscrizione delle azioni di nuova emissione grazie ad un prestito ad hoc concesso dalla stessa banca per l’acquisizione della qualifica di azionista (socio). Ritornando allo svolgimento dell’evento, terminati i convenevoli e le frasi di rito vista l’istituzionalità dell’incontro, si è passata la parola agli azionisti prima di procedere al voto. Oltre 120 richieste di intervento, variegate, trasversali, tanto da chi è un azionista residente in Veneto, quanto da chi è residente in Friuli, Lombardia o Toscana. Vista la copiosità eccezionale si è deciso di concedere ad ognuno un tempo massimo di due minuti per l’esposizione delle proprie dimostranze. Sostanzialmente circa quattro ore di interventi animati contro la banca, il suo management attuale, le autorità di vigilanza, il governo e così via.
Numerosi interventi sono stati guidati da uno spirito di rivalsa o da un sentimento di rabbia verso chi oggi sta ancora guidando la banca vicentina In particolar modo verso Zonin più volte definito come un vignaiolo piuttosto che come banchiere. Oltre alla rabbia vi sono stati anche momenti di sconforto con punte di drammaticità, accentuati da sfoghi personali e pianti di rassegnazione, come a voler dire e adesso che mi avete rovinato la vita, mi avete fatto perdere tutto quello in cui riponevo fiducia, che cosa mi resta come futuro ? La miseria, la depressione, la povertà e la rovina familiare. Tra gli interventi più interessanti rammento quello formulato da una elegante signora anziana che al richiamo del Presidente della banca di concludere il proprio pensiero visto che aveva esaurito il tempo a propria disposizione (sforando quindi i due minuti) ribattè con un “resto qua, non me ne vado, mi dovete portare via a forza”. Quel “resto qua” già in apertura di sessione assembleare avrebbe fatto capire il clima dell’intera giornata. Nonostante comunque malumori, dissidi, proclami di dozzine e dozzine di azionisti saliti sul pulpito per invitare l’assemblea a non avallare la trasformazione in società per azioni della banca, la decisione è passata con una maggioranza più che qualificata (oltre l’ottanta per cento dei votanti a favore). Un ulteriore momento degno di nota e plauso è stato il discorso iniziale dell’attuale nuovo amministratore delegato, Francesco Iorio (ex direttore generale di Ubi Banca) il quale ha spronato i presenti a credere sul rilancio della banca a fronte di un nuovo piano industriale e soprattutto a fronte di un nuovo consiglio di amministrazione da nominarsi a breve, selezionato sulla base di indiscusse competenze professionali.
Il dissesto della banca vicentina sotto la guida di Zonin sarà studiato per anni nei percorsi di formazione economica degli atenei italiani, e non solo, come esempio di gestione dalle scarse e discutibili competenze manageriali per la governance di un istituto di credito proiettato a scontrarsi nella sfida dei servizi bancari multicanale. Per chi non lo sapesse ancora, unendo anche il disastro gemello di Veneto Banca, la perdita in termini di diminuzione di capitalizzazione per gli azionisti di queste due banchesi attesta a oltre il 12% del PIL di tutta la regione veneta. Alla fine della giornata sommessamente ognuno è rincasato, portandosi dietro ricordi e amarezze emerse durante la seduta assembleare. La prima amarezza è riconducibile al rischio sempre più oggettivo che nei prossimi mesi la banca possa essere oggetto di un take over ostile ossia possa essere opata da un competitor anche straniero con lo scopo di fagocitarla o spachettarla lentamente nel tempo. Dubito profondamente che l’istituto nel lungo termine rimarrà legato al territorio che gli ha dato la vita oltre un secolo fa. La seconda amarezza è invece legata alla constatazione di come nel nostro paese via sia un’epidemia di analfabetismo funzionale ovvero incapacità a comprendere quello che si sta leggendo. Questo aspetto sociale infatti è stato determinante ed aberrante per le genti venete affinchè potesse realizzarsi quello che è accaduto. Ancora oggi nonostante quello che ci hanno raccontato le cronache finanziarie, vi sono persone che non conoscono la differenza tra azioni ed obbligazioni, tra rischi di bail-in e rischi di mercato ed infine (soprattutto) che pensano si possa recuperare con il tempo una perdita in conto capitale di oltre il 90%. Tra quindici anni qualcuno ricorderà con rammarico e rassegnazione come un tempo la nostra gloriosa regione aveva due grandi banche proprietarie. Siamo stati grandi e non lo saremo mai più.