Qui di seguito cinque considerazioni di analisi politica conseguenti al recente Election Day che fanno comprendere come la elezione sia tutt’altro che finita. Nonostante il clima di incertezza legato agli scrutini del voto postale, la proclamazione del supposto nuovo presidente americano è con prepotenza arrivata dai mass media guidati dalla CNN, la quale ha chiamato la vittoria durante la giornata di Sabato 7 Novembre. Le denunzie di irregolarità nello spoglio o peggio di effettivo broglio elettorale sono state etichettate dal main stream come fake news o notizie prime di fondamento. Inizialmente la CNN ha assegnato 290 voti a Biden, tuttavia nella giornata di Lunedi 9 Novembre ha rettificato il calcolo a 279, in quanto l’Arizona, inizialmente assegnata a Biden, potrebbe nelle prossime ore passare invece proprio a Trump. In ogni caso il differenziale tra i due candidati è così compresso che imporra il ricalcolo nelle prossime settimane.
Durante il weekend ha preso avvio la campagna di protesta politica denominata Count Legal Votes ossia conteggiate solo i voti legali, che rappresenta l’essenza della contestazione avanzata da Trump ai tribunali federali competenti. Sempre nelle prossime settimane conosceremo tempistiche e modalità di revisione dei conteggi e della correttezza legale delle operazioni di scrutinio. Metà della popolazione americana ritiene infatti che questa elezione sia stata oggettivamente caratterizzata da numerose irregolarità, alcune denunziate e documentate apertamente tramite video postati sulle piattaforme di interazione sociale. Ricordo che ci sono oltre 65 milioni di voti postali: mai nella storia statunitense si è visto niente di simile. In secondo luogo Cina, Russia, Brasile, Turchia e Messico non si sono congratulati ufficialmente con Biden, ritenendo doveroso di aspettare il verdetto che esprimeranno le corti federali che si occuperanno di vagliare la validità legale del voto postale contestato in numerose contee appartenenti ai Key States (Arizona, Georgia, Wisconsin, Pennsylvania).
In terzo luogo, molti commentatori politici indipendenti invitano alla prudenza visto i passati trascorsi con precedenti elezioni: ricordiamo proprio l’elezione del 2000 tra Bush e Gore, quando venne proclamato vincitore proprio Al Gore dal main stream mediatico, per poi essere revocato dalla Corte Suprema a distanza di alcune settimane. In quarto luogo, l’elezione non è finita, nonostante i proclami mediatici della televisione, si sposterà ora nelle aule giudiziarie per alcune settimane: su questo punto non si deve dimenticare l’elevato numero di giudici federali nominati dall’Amministrazione Trump, benevisi e graditi alle associazioni cattoliche ultraconservatrici statunitensi. Ricordo che Kamala Harris è una vigorosa sostenitrice della lobby LGBT e la sua visione di politica sociale è apertamente in contrasto con il gotha cattolico statunitense.
Infine, come quinto punto, vada come vada in aula di tribunale, l’elezione in ogni caso si dovrà rigiocare il prossimo 5 Gennaio 2021 in quanto la Georgia andrà al ballottaggio per il suo presidente: in questo momento il Senato è suddiviso in parti uguali: 48 senatori DEM e 48 senatori REP. Mancano tuttavia ancora da assegnare i senatori dell’Alaska e del North Carolina che vedono Trump in vantaggio ed assegnano al Partito Repubblicano un senatore ciascuno. La Georgia invece ne assegna due: pertanto se dovesse passare ai democratici, si avrebbe una situazione di perfetta parità ossia 50 senatori da una parte e 50 dall’altro. In questi casi farebbe da ago della bilancia il voto del vicepresidente ossia Kamala Harris, che porterebbe il controllo del Senato ai democratici. L’elezione è tutt’altro che terminata, anzi è appena iniziata e ci terrà compagnia con tutta la sua narrativa almeno sino alla metà di dicembre. Nel qual caso Biden fosse giuridicamente (e non mediaticamente) confermato come effettivo nuovo presidente avrebbe a qual punto necessità di controllare il Senato per implementare gran parte dell sua agenda progressista e radicale per l’economia statunitense.