Ho partecipato di recente ad un workshop a Bologna di una investment house inglese che proponeva la propria market view sulle attese dei successivi mesi dell’anno relativamente all’andamento dei mercati, alle dinamiche di rialzo dei tassi, alle politiche monetarie delle principali banche centrali ed anche alla presenza di rischi sistemici tutt’altro che fantasiosi e poco convenzionali. Al di là dei contenuti di spessore trattati, questa volta sono rimasto colpito come non mai nell’osservare e scrutare gli altri partecipanti, per la maggior parte promotori finanziari e consulenti finanziari. Sostanzialmente oltre i ¾ di loro durante lo speech di commento ed analisi che ha fatto il capo economista di questa investment house erano intenti a bighellonare sui vari smartphone o phablet che si erano portati appresso: vi era chi smanettava su Facebook, chi giocava a qualche applicazione colorata, chi chattava (di fianco a me) con l’amante (questo lo penso io) o una sua variante, visto che quello che scriveva era poco consono e pertinente ad un rapporto coniugale, per finire a quelli che si scambiavano reciprocamente le foto di quello che avevano mangiato durante il pranzo generosamente offerto dalla casa di gestione inglese. Solo una piccola parte dei presenti si poteva effettivamente dire attenta alla narrazione ed ai temi proposti, di questo temo che se ne siano accorti anche i relatori. Fate attenzione, perchè le persone che bighellonavano nei socials o che giocavano tra di loro al pari di una scolaresca in gita fuori porta sono anche i consulenti che gestiscono i vostri portafogli o che vi indicano come muoversi quando il mare più avanti sarà in tempesta. Fortunatamente non sono tutti così, una parte contenuta di loro era mentalmente presente all’evento ed anche molto attenta.
Il contenuto tematico infatti esposto durante il workshop era decisamente rilevante ed al tempo stesso anche preoccupante. In buona sostanza il centro studi di questa investment house rileva nell’immediato orizzonte la presenza di non pochi elementi di vulnerabilità presenti su tutti i mercati finanziari internazionali, partendo dalle valute, passando alle azioni ed arrivando alle tanto agognate obbligazioni. Appare assodato da questo punto di vista come l’anno in corso, nonostante sia già iniziato male, possa produrre durante i successivi trimestri ulteriori e pesanti contrazioni riconducibili a fenomeni più endogeni che esogeni che mettono in pratica quasi ogni universo di investimento in stato di warning. Proviamo a fare un elenco esaustivo. L’estate che ci attende si presenta già molto calda sul versante finanziario in quanto troveremo in parallelo tanto la Brexit quanto una rediviva Grexit, che ritornerà ad essere uno dei temi caldi da ri-gestire per la coesione della moneta unica. Sappiamo già che dopo il referendum inglese, ve ne saranno almeno altri due similari in successione, quello danese e quello finlandese, quest’ultimo molto più delicato vista l’appartenenza della Finlandia all’Eurozona. Sulla periferia europea rimane tutt’ora un’incognita senza soluzione ossia la Spagna che ritornerà alle urne in Giugno. Sul fronte bancario abbiamo tuttavia le maggiori esposizioni al rischio: in Italia non è stato ancora identificata una soluzione definitiva (caso mai provvisoria) per la gestione delle poste deteriorate, mentre in Germania iniziano a sollevarsi preoccupazioni sulla capacità di tenuta delle main banks a fronte delle garanzie che hanno concesso all’export delle grandi aziende tedesche verso l’Asia.
Lo si è ricordato in più occasioni ossia come al momento attuale la maggior parte dei paesi europei sul versante bancario non è in grado di far fronte ad un nuovo shock finanziario di natura esogena in quanto la debolezza di molti sistemi bancari è considerata al limite della loro stessa sopravvivenza. In Asia, con la Cina in testa, abbiamo un enigma: noi occidentali possiamo solo sperare che le autorità di governo cinesi saranno in grado di sgonfiare lentamente, senza procurare scossoni improvvisi, le due bolle riconosciute ormai a livello mondiale, quella del debito aggregato e quella immobiliare. Sempre in Asia, il Giappone di Abe Shinzo arranca a fatica nonostante i mega interventi di politica monetaria (mai varati da nessun altro paese al mondo) volti all’immane tentativo di rilancio della propria economia internamente. I paesi emergenti, tranne l’India, si trovano nella terra di mezzo, se dovessero contrarsi più del previsto le economie di USA, Europa e Cina, per loro si aprirebbero le porte di un nuovo inferno economico. I due continenti al di là dell’Atlantico non se la passano poi cosi tanto bene. In America del Sud, abbiamo il Brasile in piena recessione con l’attuale presidente, Dilma Roussef, ormai messo in stato di accuso per lo scandalo finanziario di Petrobas (tramite il dispositivo dell’impeachment), mentre al Nord gli USA che sembrano per adesso in stato di salute stazionaria, tuttavia con possibili ricadute nei mesi successivi per l’incognita delle presidenziali e per la attestata diminuzione dei livelli di profittabilità delle aziende americane. Il quadro complessivo pertanto rimane di poco conforto e con possibili cambi di scenario nel breve dall’impatto sostanziale sui mercati e sulle principali asset class.
In questi termini le preoccupazioni maggiori si evidenziano nei comparti di investimento obbligazionari sia per la divergenze sul rialzo dei tassi da parte delle banche centrali e sia per la vulnerabilità di alcuni settori tipicamente emettitori di debito corporate come quello energetico (industria dello shale oil) e quello bancario: le aspettative in tal senso spingono ad una maggior e selettività degli emittenti vista la possibilità che i tassi di default si alzino significativamente durante la restante parte dell’anno. Rimane una view in cui convergono sempre piu case di gestione la preoccupazione di come gli andamenti di mercato siano troppo e strettamente collegati solo alle politiche di intervento straordinario delle grandi banche centrali ed i loro strumenti di trasmissione delle stesse politiche monetarie: in tal senso infatti si ritiene che nel futuro (prossimi cinque anni) la probabilità che proprio le banche centrali possano essere messe sul banco degli imputati per aver innescato nuove bolle finanziarie appare molto verosimile. Questo potrebbe produrre pertanto come conseguenza un cambio di paradigma universale destituendo l’indipendenza delle banche centrali e relegando queste ultime a mere esecutrici di scelte di politica economica nazionale. Questo significherebbe consentire ai governi del futuro di poter gestire la politica monetaria a proprio piacimento in ottica di pianificazione economica nazionale al pari di uno strumento istituzionale come la fiscalità. Approccio lodevole e costruttivo se e soltanto se le nuove classi dirigenti saranno composte da personalità ed individui di spiccata capacità e competenza. In caso contrario si assisterebbe a fenomeni di destabilizzazione finanziaria e depauperamento economico su scala nazionale molto simili a quelli vissuti da un paese che da questo punto di vista ha fatto scuola per decenni, l’Argentina.