Sta girando da una decina di giorni sui socials un videoclip che riprende Matteo Salvini durante la trasmissione Porta a Porta in cui spiega secondo lui quali dovrebbero essere le coperture per attuare una flat tax al 15%. Si rimane di stucco quando lo si sente dire che l’IRPEF genera alle entrate italiane un apporto di 48 MLD. Ancora più grave che questa esternazione sia stata fatta grazie ad un prospetto che tiene in mano dal quale ostenta leggere tali dati e che, immagino, qualcuno gli abbia fornito: per la cronaca l’apporto della sola IRPEF stimata per il 2016 ammonta a 189 MLD. L’intervento ulteriormente si sofferma a decantare come in Italia esista una shadow economy (economia sommersa) di 540 MLD stando ad una fonte di Eurispes ed altri 200 MLD sono attribuibili alle attività criminali. Premesso che nessuno (istituzionalmente parlando) è in grado di quantificare questa posta con un valore presumibilmente credibile, trattasi in tal senso sempre di ipotesi e congetture tutte opinabili: un po’ come stimare quante sono le donne vergini in Italia. Invece quello che vi dovrebbe colpire è notare come un esponente politico di rilievo parli di entrate o uscite del nostro Paese senza aver approfondito il tema (sapendo che avrebbe parlato proprio di quello durante la trasmissione), ma solo sbandierando dei numeri che qualcun altro gli ha rifilato. La contabilità e la finanza pubblica italiana ed i suoi meccanismi di rilevazione ed analisi possono essere paragonati per complessità e corposità a temi di ardua comprensione anche per chi avesse frequentato percorsi di formazione accademica di stampo economico. Mi risulta che Salvini abbia abbandonato gli studi universitari in Storia svariati anni or sono. Questa estate mi sono addentrato nel lato oscuro della forza ed accettato di studiare con metodologia la contabilità della spesa pubblica italiana.
Voglio subito darvi questo primo feedback: lasciate ogni speranza, o voi che entrate. Ne abbiamo già anticipato qualcosa nel post precedente, studiare, comprendere e analizzare la spesa pubblica italiana (al di là di alcuni grandi aggregati macroeconomici) è un lavoro molto impattante che richiede sforzi di concentrazione e soprattutto perversioni di autolesionismo. Anche nel migliore delle ipotesi, quando iniziate a comprendere dove vi sta portando la porta che avete appena aperto, ve se ne presentano altre dieci che a loro volta vi portano negli abissi e negli scantinati in cui alcune risposte non si possono più ottenere dalla semplice lettura di cifre asettiche. Dopo circa dieci giorni di intensa immersione, dopo aver stampato oltre 500 pagine (quelle di maggior contributo) dai documenti più rilevanti, a quel punto avrete la dimestichezza nel saper individuare e commentare quasi ogni cifra e sarete in grado anche di effettuare qualche collegamento. Come vi ho promesso, con i prossimi post, inizieremo un viaggio di qualche mese per far luce e comprendere quanto ci costa a consuntivo il nostro Paese e come vengono soprattutto redistribuite le risorse in base alle politiche di bilancio adottate. Partiamo da alcuni dati basilari, volutamente ipersemplificati per non rendere quello che leggerete troppo noioso: ricordo che il tutto è stato desunto dal Rendiconto Economico dello Stato per il 2015 e dalla Legge di Bilancio 2016/2018, (ovvero il Bilancio Semplificato per il triennio 2016/2018), liberamente disponibili sul sito del MEF in visione e studio a chiunque voglia rovinarsi gli occhi ed il sonno.
In massima semplificazione, il Bilancio dello Stato si può suddividere in tre grandi voci: spese correnti, spese in conto capitale (leggasi investimenti generalmente tangibili come i banchi per una scuola o gli autocarri per l’esercito) e spese per il rimborso di attività finanziarie, da non confondere con gli interessi sul debito: questa ultima voce rappresenta a quanto ammontano durante l’anno i rimborsi dei titoli di stato a fronte della loro naturale scadenza. I mastri di conto dei vari bilanci hanno sempre due colonne, una voce per competenza e una per cassa: per semplicità espositiva consideriamo solo la competenza. Più avanti mi riprometto di spiegarvi nella pratica in che cosa consiste questa bipartizione. Ebbene dal 2000 al 2015, il Bilancio dello Stato, considerando questi tre macro aggregati, è passato da 534 MLD a 847 MLD, quindi con un aumento del 64%. Nel 2015 sono state rimborsate attività finanziarie (debito pubblico) per 233 MLD, mentre il precedente anno (2014) i rimborsi ammontavano 236 MLD: nel 2000 questa posta ammontava a 136 MLD. In questa prima fase di analisi appare interessante soffermarsi sui primi due macroaggregati della spesa. La spesa corrente (stipendi, mantenimento uffici, funzionamento dello stato, enti locali, organi costituzionali, pensioni, stato sociale e cosi via) è passata da 351 MLD nel 2000 a 574 MLD nel 2015, mentre la componente di spesa in conto capitale è addirittura diminuita passando da 47 MLD ai 40 MLD del 2015 (con un picco a 64 MLD nel 2008). Il Bilancio dello Stato non è sempre cresciuto in progressione lineare questo perchè vi sono state delle super annate in cui il debito da rimborsare era notevolmente inferiore rispetto all’anno prima: come il 2004 (-23 MLD), il 2005 (-22 MLD), il 2011 (-48 MLD) o il 2013 (- 35 MLD).
In questi 15 anni (sostanzialmente da quando è andato a regime l’euro) la componente relativa alle spese correnti risulta invece non avere avuto freni di alcuna natura, continua anno dopo anno a salire con l’unica eccezione del 2011 (Governo Monti) per poi riprendersi con vigore negli anni successivi: addirittura nel triennio 2013-2015 (Letta/Renzi) la spesa corrente sembra perdere la propria inibizione aumentando con propulsione imbarazzante di 57 MLD, pari al 11% rispetto al 2012. Vedremo in seguito quali centri di spesa si sono gonfiati rispetto agli anni precedenti. Qui infatti si possono incontrare i primi momenti di sconforto (non necessariamente come contribuente): la contabilità della spesa pubblica nazionale applica il criterio della competenza economica e misura tali costi in base alla loro natura, alla loro destinazione (per quale missione e quale programma), al centro di responsabilità amministrativa a cui corrispondono ed infine alle unità organizzative di primo livello (generalmente la direzione generale di qualche ministero). Ad esempio il Ministero di Giustizia ha cinque centri di responsabilità amministrativa, i quali a loro volta gestiscono 50 centri costo. Altro caso: il MIUR ha quattro centri di responsabilità amministrativa, ai quali sono sottomessi 33 centri di costo. I ministeri più piccoli in tal senso sono il Ministero dell’ambiente e tutela del territorio e del mare (11 centri di costo) e il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali (13 centri di costo).
Si può iniziare avvicinandosi allo studio del Bilancio dello Stato dall’analisi delle missioni che come abbiamo precedentemente esposto ammontano a 33: fatalità la prima missione è denominata Organi costituzionali e di rilevanza costituzionale (Camera, Senato, Consiglio dei Ministri, Corte dei Conti e CNEL) che a consuntivo nel 2015 ha prodotto oneri per 2.66 MLD. La previsione per il 2016 stima un costo di 2.70 MLD, il che significa 340 milioni di euro in più rispetto al 2015: tuttavia per il 2018 il costo di questa missione dovrebbe abbassarsi a 2.63 MLD, sta di fatto che non sono in alcun modo previste misure atte ad abbattere questo capitolo di spesa in misura significativa. Concentriamoci ora sulla spesa di altri programmi che dovrebbero destare il vostro stupore: ricordo sempre che ci riferiamo alla stima per il 2016 della Legge di Bilancio triennale 2016/2018. Le tanto contestate prefetture dovrebbero costare 577 milioni, la partecipazione italiana alle politiche di bilancio europee saranno 23.75 MLD, la povera difesa della nazione appena 19.94 MLD (le missioni di pace all’estero costeranno 948 milioni), la giustizia 7.78 MLD, il sostegno all’editoria solo 155 milioni di euro, la promozione del made in Italy solo 213 milioni, la ricerca e l’innovazione (intese come missione) appena 2.68 MLD, la tutela della salute (come missione) appena 926 milioni con 7 milioni dedicati alla sicurezza degli alimenti e nutrizione (programma). Quella che mi piace in assoluto maggiormente è la missione “turismo” che consta di un unico programma denominato “sviluppo e competitività del turismo” cui è assegnata la principesca cifra di 41 milioni (non miliardi) destinata a diventare 38 milioni nel 2018. Termino, invitandovi a non perdere il prossimo post di continuazione, ricordando i costi di alcuni apparati e disposti normativi: sicurezza democratica (leggasi servizi segreti) per 610 milioni di euro, politiche passive del lavoro (nome del programma) cui sono assegnati 9.70 MLD: si tratta dei famosi ottanta euro che nel 2015 a consuntivo sono costati alla collettività 8.70 MLD. Infine l’ultima missione denominata debito pubblico cui sono assegnate risorse per 301 MLD di cui parleremo diffusamente nel prossimo redazionale.