Durante l’ultima settimana di febbraio si è propagata a livello mondiale la paura per il coronavirus di Wuhan (in realtà si dovrebbe chiamarla Polmonite di Wuhan, almeno così fanno in Asia), non tanto nelle persone per la paura del contagio quanto nei mercati azionari per le possibili ed oggettive ricadute sull’economia e crescita mondiale. I principali indizi azionari mondiali hanno ceduto in sole cinque sedute anche oltre il 15% arrivando come nel caso del Dow Jones a realizzare la quinta peggiore performance settimanale di sempre: al primo posto troviamo la settimana di metà settembre nel 2008 quando venne annunciato il fallimento di Lehman Brothers. Dopo la folle psicosi per paura di venire a contatto con il contagio, alimentata peregrinamente anche dai media nazionali, si è verificato anche un conseguente e prevedibile panic selling da parte di piccoli risparmiatori ed investitori desiderosi di liquidare in fretta le posizioni in asset rischiosi per riposizionarsi su strumenti risk-free. Iniziano a diffondersi report e proiezioni mediche relative alla dimensione del contagio su scala mondiale ed al numero di decessi conseguenti: dovrebbe far significativamente riflettere il fatto che ora i commentatori televisivi utilizzino espressamente questa dicitura: è morto con il coronavirus, ma non di coronavirus.
Molte persone iniziano a porsi legittime domande in merito a quanto sia andato in scena soprattutto nelle economia avanzate: richiamando una terminologia usata propriamente da personale medico, si è trattata una variante di un virus influenzale al pari di una epidemia di Ebola o di Lissa, alimentando una paura atavica nelle persone sino a spingerle a comportamenti ridicoli o al limite della follia. Ho partecipato ad inizio settimana ad una conference call tra analisti finanziari collegati da quasi tutto il mondo, tranne dalla Cina. Voglio condividere alcuni passaggi che spingono chi legge a porsi delle domande ed a cercare delle risposte. Chi, cosa, come e dove tengono l’opinione pubblica ipnotizzata e impaurita. La domanda principale che ci si dovrebbe porre è perchè. Perchè è accaduto quello che è accaduto, chi ci ha guadganto e a che cosa dovrebbe servire il tutto. Tralasciamo volutamente le tesi complottistiche che il virus di Wuhan serva per sfoltire una parte della popolazione mondiale visto che la sua mortalità è irrilevante o che il virus necessita di un vaccino che farà arricchire chi lo produrrà e cosi via discorrendo.
Vediamo ipoteticamente quanto potrebbe essere accaduto e chi ne potrebbe beneficiare. In una fase prolungata di mercato in cui si va a caccia (e non alla ricerca) del rendimento a causa di tassi negativi che sappiamo saranno protratti per anni: l’aver alimentato mediaticamente la paura sull’opinione pubblica ha prodotto un violento crash sui mercati finanziari da cui ne è conseguito un re-pricing di tutte le asset class rischiose, soprattutto azioni con dividendi elevati. La messa in quarantena forzata da parte della Cina di una parte significativa della sua popolazione (tra i 50 ed i 70 milioni di persone) in aree fortemente produttive ha messo in ginocchio proprio numerose aziende high-tech americane: pensiamo al caso di Apple con Foxcomm che anche volendo cercare fornitori alternativi al di fuori della Cina non li troverebbe. Il blocco delle fabbriche e della mobilità sulle strade in numerose province cinesi ha ridotto le emissioni inquinanti nell’aria, migliorando sensibilmente la qualità dell’aria respirabile ed abbassando i livelli di inquinamento ambientale. Il rallentamento delle attività produttive e la contrazione dei consumi impatterà in misura rilevante sui fatturati delle imprese statunitensi che sono tra i principali beneficiari della crescita economica cinese e del traino che questa sviluppa in tutto il sud est asiatico.
Se si voleva indurre Trump a fare marcia indietro sulla trade war, l’obiettivo è stato pienamente centrato: adesso si dovrà intervenire per dare supporto alle esportazioni ed alle importazioni per evitare una pesante contrazione alla crescita americana, la quale si ripercuote sulle proiezioni di utili delle società quotate, le quali a loro volta rappresentano la base per alimentare l’effetto ricchezza sui consumatori americani che saranno chiamati a votare nei successivi sei mesi per le presidenziali statunitensi. In tutto il mondo si sta proponendo lo smart working per consentire ai lavoratori dipendenti di tornare produttivi, abituandoli in questo modo all’idea di lavorare a distanza con una remunerazione correlata alla effettiva produttività e non al tempo passato sulla scrivania. Pensate che in tempi normali i sindacati avrebbero permesso o consentito una transizione cosi repentina e disruptive ? Lo smart working viene già rappresentato come il futuro del lavoro per le classi medie lavoratrici. Tra qualche mese comprederemo a consuntivo se qualcuna di queste ricostruzioni da fantafinanza avranno un suo fondamento e chi effettivamente ne avrà beneficiato senza sforzo alcuno. Dubito che la tecnocrazia cinese lasci in questo momento qualcosa al caso o all’improvvisazione, cosa che invece sta connotando tutte le democrazie liberali occidentali.