Nell’attesa dell’attesa ossia aspettando le prossime dodici ore durante il quale inizieranno le prime letture sull’esito del tanto discusso e agognato quesito referendario che si sta svolgendo proprio oggi in Gran Bretagna, dopo mesi di proclami ed annunci dalle varie pari politiche, voglio dedicare questo post ad un altro evento di portata politica che a mio modo di vedere potrebbe danneggiare ugualmente la tanto vituperata Unione Europea, sempre dando per assodato il successo del fronte Bremain. Mi sto riferendo alle elezioni spagnole che si svolgeranno nei prossimi tre giorni, il 26 Giugno. Ne avevamo fatto menzione anche in precedenza come questa estate sarebbe risultata molto calda sul fronte politico ed economico visti il susseguirsi di avvicendamenti l’uno in fila all’altro. Non dimentichiamo infatti che a fine estate ci attende il rush finale tra Clinton e Trump per le elezioni presidenziali. Torniamo tuttavia sul versante europeo: ammesso che gli inglesi non faranno gli spartani dentro la cabina elettorale, sdoganato il caso inglese, ci aspettano a questo punto gli spagnoli con una seconda tornata elettorale a distanza di sei mesi da quella di fine dicembre dello scorso anno dal cui esito emerse una sostanziale assetto politico che impediva la governabilità del paese iberico. Allora si parlò di italianizzazione del congresso, termine che gli spagnoli non gradiscono affatto, non tanto perchè si fa riferimento ad un termine italiano, quanto piuttosto perchè non accettano l’idea che il loro paese sia privo di un governo stabile durante l’intera legislatura.
Per la classe politica italiana direi che è fondamentale il contrario ossia che il governo non sia stabile e soprattutto non riconducibile ad una sola forza politica che abbia ricevuto la maggioranza dei voti. In questo modo si possono organizzare treppi, inciuci ed il tipico mal costume di governo di noi italiani. In queste settimane mi trovo in Spagna proprio per seguire l’evolversi delle prossime elezioni politiche: anche gli spagnoli sono caratterizzati da fenomeni ed episodi eclatanti di corruzione, favoreggiamento o abusi di varia natura sul fronte politico, al pari comunque di tutti i paesi mediterranei. Ogni due settimane la stampa nazionale ne porta alla ribalta uno nuovo: proprio oggi, a tre giorni delle elezioni, è esplosa una sorta di Water Gate iberica, con la messa in stato di accusa del Ministro degli Interni, il quale stando alle prime notizie di cronaca avrebbe dato indicazioni per spiare ed ascoltare segretamente le conversazioni di Artur Mas, il leader indipendentista della Catalogna. Proprio su questo versante infatti si sono sviluppati i temi principali delle tavole rotonde degli ultimi quindici giorni sulla televisione spagnola ovvero la lotta alla corruzione e l’eterna tensione separatista portata avanti da anni da alcune comunità spagnole, con in testa proprio il popolo catalano. Il panorama politico spagnolo non è più di facile lettura rispetto a qualche anno fa: l’avanzata e l’emersione di Podemos (Pablo Iglesiasi) e Ciudadanos (Alberto Rivera) ha destituito lo storico bipartitismo, tanto che il prossimo governo dovrà essere per ovvie ragioni matematiche un governo di coalizione.
Proprio su questo fronte nascono gli interrogativi e le preoccupazioni. Il PSOE (il Partito Socialista di Pedro Sanchez, il successore di Zapatero) sta affrontando una pesante crisi al proprio interno dovuta tanto ad una perdita di credibilità quanto di consenso elettorale che ha così favorito invece l’emergere di Podemos, il quale risulta essere al momento il partito politico con il maggior appeal alla prossima tornata elettorale, a fronte del proprio programma politico, molto simile a quello di Syriza in Grecia. Inutile nascondersi, la povertà chiama altra povertà: in Spagna ci sono sei milioni di nuovi poveri ossia persone che pur avendo un posto di lavoro non riescono a far fronte a tutte le loro necessità. Girando in auto la notte delle grandi aree urbane è possibile notare un notevole numero di persone che rovista nei bidoni della spazzatura alla ricerca di qualcosa da recuperare dai rifiuti altrui. Non è un bello spettacolo. Il paese iberico sta vivendo la più grande crisi socioeconomica degli ultimi cento anni: sappiamo come ci siamo arrivati ed anche chi sono i principali responsabili da incolpare. Oltre a Podemos, l’altro nuovo che avanza è Ciudadanos, un partito conservatore di stampo sociale che ha assorbito anch’esso voti dal primo partito spagnolo di sempre, il Partito Popular guidato da Mariano Rajoy. Le tribune politiche che si sono svolte alla televisione in queste settimane hanno fatto emergere due approcci antitetici tra i quattro leaders. In tal senso abbiamo Sanchez, Rivera e Iglesias che mettono al primo posto della loro agenda politica la lotta alla corruzione, l’aumento della tassazione e maggior tutela sociale, mentre sul fronte opposto abbiamo Rajoy che riconferma la sua ricetta di stimolo e defiscalizzazione all’economia per la creazione di due milioni di nuovi posti di lavoro entro i prossimi tre anni.
Nel 2012 quando Rajoy assunse la guida del paese la Spagna aveva perduto oltre tre milioni di posti di lavoro, successivamente alle misura di crescita, incentivazione e defiscalizzazione apportate dal suo governo, il paese iberico ha lentamente ma progressivamente recuperato terreno, creando 450.000 nuovi posti di lavoro nel 2014, 575.000 nel 2015 e oltre 200.000 nel primo quadrimestre del 2016. La Spagna per questo è la nazione che cresce di più in assoluto in Eurozona (circa tre volte più dell’Italia). La tassazione corporate è scesa dal 30 al 25, sapendo che per il 2018 dovrebbe arrivare al 20% (sempre se ci sarà ancora Rajoy): le nuove imprese ad esempio beneficiano di una tassazione agevolata al 15% per i primi tre anni. L’idea di Rajoy è di preservare e supportare quello che si è visto funzionare negli anni passati, quindi ancora stimoli all’economia, ulteriori defiscalizzazioni ed attrazione degli investimenti esteri in modo da amplificare gli effetti di un circolo virtuoso che si alimenta da sé. Solo con più posti di lavoro si esce dalla palude: più persone che lavorano significa più consumi interni, più gettito fiscale diretto, più imposte indirette e meno sussidi di stato per la disoccupazione e cosi via discorrendo. La stampa nazionale spagnola ha più volte ricordato a tal punto i rischi per la Spagna di un cambio improvviso di guideline politica come ad esempio quella voluta proprio da Podemos, che vorrebbe invece un inasprimento della tassazione per sostenere le proprie politiche sociali: la paura in tal senso è rappresentata dalla fuga degli investitori sia privati che istituzionali che si troverebbero a dover dialogare con un governo di stampo marxista comunista. Una Spagna in cui il timone improvvisamente diventa presidiato da Podemos, fa molto più paura alla UE di una Gran Bretagna che decide di andarsene dopo mesi di convenevoli e accordi diplomatici sul come comportarsi e su come intervenire a livello istituzionale.