Chi tocca muore. Questo è quello che ti dice un politico scafato della Prima e Seconda Repubblica quando il tema della conversazione verte sulle pensioni. Se ti sogni di toccare le pensioni, diventi politicamente uno zombie, ti trasformi in un morto che cammina. Le pensioni in Italia sono tabù, al pari del nucleare o dell’eutanasia: rappresentano un tema di natura socioeconomico su cui un elettore medio italiano non intende ragionare sul piano piano dialettico, soprattutto dopo quanto accaduto con la Riforma Fornero nel 2012. Secondo la maggior parte degli italiani (oltre il 75%) la pensione è un diritto intoccabile, un problema che riguarda lo Stato e non il diretto interessato. Purtroppo non vi è niente di più aberrante. In Italia due pensionati su tre ancora oggi non sanno come viene calcolata la propria pensione, ma soprattutto non vi è coscienza della precaria sostenibilità finanziaria nel medio e lungo termine che ha la previdenza nazionale. Alcuni numeri ci aiutano a comprendere questo quadro. Come già esposto in un precedente editoriale il bilancio dello stato è composto di 34 missioni, la previdenza nazionale è confluita nella missione numero 25 denominata Politiche Previdenziali. Questo aggregato di spesa pubblica ha assorbito risorse pubbliche per 92 miliardi nel 2016, 94 miliardi tanto nel 2017 quanto nel 2018 e ne assorbirà 96 nel 2019 e 100 miliardi nel 2020. La percentuale di assorbimento sul Bilancio dello Stato ha ormai superato il 15% della spesa pubblica.
Tutti i contribuenti italiani versano agli enti di previdenza nazionale ormai quasi 100 miliardi ogni anno per sostenere l’erogazione delle varie rendite pensionistiche, oltre naturalmente alla contribuzione obbligatoria che grava su chi lavora e su chi fa impresa. Vi è solo un altro aggregato di spesa che assorbe più risorse pubbliche ossia la missione numero 3 denominata Relazioni finanziarie con le autonomie locali: si tratta dei trasferimenti che lo Stato effettua in via principale alle regioni, le quali utilizzano gran parte di questa posta contabile soprattutto per foraggiare il servizio sanitario nazionale. Pertanto con molta semplificazione ed in estrema sintesi possiamo dire che pensioni e sanità assorbono ormai il 30% delle risorse pubbliche. Il terzo aggregato di spesa pubblica per l’elevato peso complessivo espresso in percentuale è rappresentato dagli interessi sul debito pubblico che assorbono ormai il 12%. Sono state proprio le pensioni concesse nei decenni precedenti in assenza di un sensato montante contributivo a concorrere in via prioritaria alla crescita del gigante cattivo ossia il debito pubblico. Si tratta di pensioni che hanno visto come principali beneficiari proprio i dipendenti pubblici, i quali rappresentavano generalmente figure occupazionali in esubero nei vari processi di ristrutturazione delle istituzioni statali e parastatali degli anni Ottanta e Novanta.
Stando all’opinione pubblica la causa di questa insostenibilità si deve attribuire al tanto il quale in origine aveva anche una sua propria ragione di esistere. Consentiva infatti di erogare una pensione dignitosa a tutti i lavoratori italiani che avevano dovuto fare i conti con la Seconda Guerra Mondiale e l’elevata inflazione che aveva caratterizzato il periodo della ricostruzione postbellica. Per questo motivo la formula di calcolo della pensione prevedeva di moltiplicare il 2% per ogni anno di effettiva attività lavorativa, il che al massimo produceva un rapporto di conversione pari all’80% dell’ultima retribuzione percepita (considerando un massimo di 40 anni di lavoro). Sempre in quel periodo vennero anche concepite le pensioni di anzianità (oggi sostituite con la pensione anticipata con la Riforma Fornero) le quali avevano sostanzialmente lo scopo di dare una gratificazione ed un riconoscimento ai dipendenti pubblici che avessero iniziato a servire lo Stato in giovane età, i quali pertanto poterono usufruire di una contribuzione minima in taluni casi anche di soli 15 anni a prescindere dalla loro età anagrafica (le cosiddette baby pensioni). Secondo numerosi commentatori storici le baby pensioni rappresentarono un espediente per i governi di allora (in primis Mariano Rumor, Democrazia Cristiana) per abbassare la tensione sociale all’interno del settore pubblico, utilizzando pertanto i prepensionamenti come strumenti di mitigazione della conflittualità tra classi sociali.
Retributivo, pensioni di anzianità e baby pensioni crearono le condizioni in pochi decenni per portare al collasso la previdenza nazionale, la quale è stata oggetto di due importanti riforme volte a garantirne la sostenibilità finanziaria, la Rifoma Dini del 1995 e la Riforma Fornero del 2011. In sintesi la prima si occupò di introdurre il sistema di calcolo contributivo per i nuovi assunti a partire dal 1996, di fatto istituzionalizzando una discriminazione generazionale con chi lavorava in precedenza il quale poteva contare ancora sul metodo retributivo. Alla Riforma Dini si riconosce l’unico merito di aver diminuito il peso della contribuzione fiscale a copertura delle esigenze finanziarie della previdenza nazionale, che inizia per una parte a diventare più sostenibile. La Riforma Fornero invece (per quanto sia stata denigrata mediaticamente) si è occupata di mettere in sicurezza i conti previdenziali e rendere sostenibile il sistema previdenziale nel lungo periodo. La riforma in sintesi estrema ha esteso il metodo contributivo anche a chi era stato escluso dalla precedente Riforma Dini ed ha previsto l’allungamento graduale dell’età di pensionamento in relazione all’aspettativa di vita (non entro volontariamente sul dettaglio perchè si rischia di essere pesanti nella narrazione).
La riforma ovviamente ha impattato pesantemente sulle previsioni di uscita dal mondo del lavoro (pensiamo solo alla casistica degli esodati), tuttavia è stata una riforma coraggiosa e giusta, nell’interesse di garantire la sostenibilità finanziaria di tutte le pensioni presenti e future. Non è colpa di Elsa Fornero se negli anni Settanta la speranza di vita nel caso di un maschio di 80 anni era di appena 5 anni, mentre oggi è più del doppio. Personalmente contesto la mancanza di comunicazione da parte del ministro, vale a dire che al pari di Monti, non è stato fatto capire con la sufficiente enfasi che rischio correvano i conti pubblici italiani visto che ogni anno le pensioni pesano ormai il 15% del Bilancio dello Stato. Purtroppo anche la Riforma Fornero non si è occupata di colpire chi da anni invece riceve ogni mese un regalo da tutti gli altri italiani, grazie ad una rendita pensionistica calcolata con un meccanismo contabile privilegiato. Gli unici due partiti che votarono contro la Riforma Fornero sono stati La Lega Nord e l’Italia dei Valori. La Lega Nord ha addirittura tentato la strada del referendum abrogativo nel 2015 per tentare di annullare la Riforma Fornero: referendum che è stato dichiarato inammissibile dalla Corte Costituzionale, in quanto la Riforma Fornero è stata concepita per la sostenibilità dei conti pubblici italiani nel medio e lungo termine. Tuttavia ora in mancanza di una nuova operazione di razionalizzazione della previdenza nazionale, la probabilità di collasso finanziario per la spesa pubblica è tutt’altro che insignificante, soprattutto ora che Quota 100, voluta ed approvata proprio da Lega e M5S, rischia di produrre già nel breve termine un impatto finanziario piuttosto negativo, non essendo stato preventivato negli anni precedenti sulla dinamica della spesa previdenziale.