La dimensione degli stimoli fiscali e monetari che hanno messo in atto le banche centrali ed i governi delle economie avanzate è pari al 10% del PIL mondiale: per avere un metro di paragone considerate che durante la Grande Recessione del 2009 causata dalla crisi dei mutui subprime la dimensione dei vari piani di intervento che vennero concepiti arrivava al 5% del PIL mondiale. La differenza con la precedente crisi finanziaria oltre che quantitativa è anche qualitativa: la reazione delle autorità sovranazionali è stata in questo caso fulminea e tempestiva, mentre tra il 2008 ed il 2010 l’azione di contrasto alle conseguenze economiche causate dalla crisi finanziaria non era coordinata tra gli stati ed ognuno si comportava come meglio riteneva. Ricordiamo ad esempio sia le misure di austerity in Europa che il ritardo della BCE a varare il proprio QE in contrasto con le linee d’azione della Federal Reserve. Le principali preoccupazioni per chi investiva in ottica di lungo termine in quell’epoca erano riconducibili ai rischi di inflazione, proprio considerando la quantità di moneta complessivamente creata ed immessa dalle banche centrali in poco tempo.
A distanza di qualche anno dal varo di quelle misure straordinarie ci si rese conto che non solo l’inflazione non dava cenni di comparsa, ma che addirittura vi erano rischi di deflazione. Correva l’anno 2012 e per quasi 18 mesi lo spauracchio delle istituzioni finanziarie era proprio la deflazione. Si è avuto un ulteriore riscontro di queste dinamiche avverse proprio dall’indicatore principe al mondo per il rischio di inflazione ossia l’oro, che da quel momento in poi ha intrapreso un lento ed inesorabile declino sino al minimo storico relativo in prossimità dei 1000 dollari l’oncia nei tre anni successivi (questo video spiega bene quando e come si dovrebbe investire nel metallo giallo). In questi ultimi due anni abbiamo nel frattempo imparato a conoscere e convivere con l’era dei tassi negativi come diretta conseguenza di quelle politiche monetarie ultraespansive. Fino alla fine del 2019 oltre la metà del debito di qualità emesso in area euro aveva interessi negativi, vale a dire che si pagava per prestare denaro alla Germania, alla Francia e persino alla Spagna. Paesi come l’Italia, la Grecia ed il Portogallo tutto sommato remuneravano ad appena un punto percentuale un prestito a dieci anni.
Tuttavia in questo caso la qualità del debito non era decisamente di primo standing. Lo ZIRP ossia lo zero rate interest policy (politica dei tassi di interesse a zero) dà avvio alla caccia del rendimento: in buona sostanza chi necessita di remunerare il capitale non può più cercare income sul mercato obbligazionario (a meno di non assumersi anche il rischio di default) e necessita di posizionarsi sull’equity in stile value la quale oltre ad essere moderatamente volatile permette di beneficare del suo flusso di income periodico (dividendi generosi). Questa condizione di mercato spinge fondi di investimento, fondi pensione, fondi sovrani, portfolio ed asset managers a buttarsi sull’azionario senza tante remore visto che non esistono altre soluzioni. Inizia a circolare sulle stanza dei traders l’acronimo di TINA ossia There Is No Alternative: per semplicità espositiva significa che si è obbligati ad investire sull’azionario proprio perchè sul mercato obbligazionario è impossibile ottenere una qualche sorta di remunerazione a meno di accettare rischi di default puntando su emissioni high yield in cui l’emittente del debito non ha lo status di investment grtade ma quello di speculative.
Ad inizio 2020 è arrivata la Polmonite di Wuhan con la pandemia, il lockdown, lo smart working e cosi via. Tutte le attività finanziarie sono colpite dal panic selling: a metà marzo sembrava di assistere ad un nuovo armageddon finanziario, tuttavia nelle settimane successive il clima sia sanitario che finanziario inizia a stabilizzarsi ed a migliorare gradualmente. In maggio alcune nazioni occidentali pianificano il ritorno alla normalità accompagnata da misure cautelative, il denaro ritorna sui mercati azionari che riprendono a salire non in forma omogenea. Si inizia a percepire che una volta passata e superata con successo la Fase 2 ci si ritroverà con un mondo in cui i tassi di interesse saranno ancora più bassi di quelli che si avevano in epoca pre-pandemica. I portfolio managers incitano i loro clienti a posizionarsi tatticamente e selettivamente sull’azionario in quanto il TINA sarà il mantra finanziario dei prossimi anni. L’era delle rendite finanziarie facili e certe è terminato per sempre, sarà impossibile pensare di remunerare il proprio capitale senza assunzione di rischi specifici. Si pagherà per detenere la liquidità almeno in area euro: purtroppo i tassi di interesse negativi sono come le sabbie mobili, è piuttosto arduo potersene liberare. Per questa ragione si inizia a parlare di giapponesizzazione del debito in Europa e Stati Uniti.