La pandemia di covid del 2020 è ormai considerata finanziariamente come una sorta di nuovo zero cronologico: da quella data si sono verificati una serie di mutamenti in ambito macroeconomico e geopolitico a livello mondiale che stanno dettando l’agenda del nuovo ordine mondiale. Convinzioni storiche delle epoche precedenti riguardo alla composizione dei portafogli sono ormai anacronistiche, soprattutto in tema di bilanciamento degli asset: ad esempio il tanto apprezzato portafoglio bilanciato 60/40 [azioni/obbligazioni] ormai viene considerato superato ed in taluni casi anche inefficiente. Questo perchè sia durante il 2020 ed anche il 2022 abbiamo assistito ad una correlazione negativa di tutti gli assets, quando statisticamente in passato ci si rifugiava nell’obbligazionario proprio per evitare la volatilità del mercato azionario. Dopo un 2023 che ha sorpreso quasi tutti in termini di performance dell’equity adesso si inizia a ipotizzare che tipo di anno sarà il 2024 considerando che andranno in scena numerosi appuntamenti elettorali di rilevante importanza ed al tempo stesso sul fronte geopolitico sussistono ancora [purtroppo] due fronti di guerra il cui esito appare fosco ed incerto. La principale convinzione tematica di investimento che è trasversalmente riconosciuta da tutte le più rinomate case di gestione è sul fixed income, considerato quest’ultimo una sorta di opportunità epocale al grido di bonds are back.
Le obbligazioni che tanto hanno deluso durante il 2022 ed il 2023 potrebbero, soprattutto durante la seconda parte dell’anno, trasformarsi in un importante motore di performance: i portfolio manager si aspettano l’inizio di una fase di espansione monetaria entro la fine del primo semestre con possibilità di assistere ad una discesa dei tassi nominali negli USA fino anche a 150 punti base: sul piano pratico questo potrebbe rappresentare un potenziale di rivalutazione tra il 10% ed il 15% per il comparto obbligazionario investment grade del mercato statunitense. Inoltre una minor reddittività del Treasury [titolo di stato statunitense] renderebbe più appetibile il debito in valuta locale di alcuni paesi emergenti che potrebbe pertanto beneficiare di una possibile fase di repricing. In Europa il banchiere centrale dovrebbe comportarsi similmente a quello statunitense, tuttavia con un certo ritardo attuativo rispetto alla FED e con una dimensione più contenuta dei tagli in quanto il fenomeno inflattivo in Europa è meno accentuato rispetto al mercato statunitense. Sul fronte azionario, mentre gli Stati Uniti hanno sorpreso in termini di rivalutazione nel 2023, esattamente all’opposto si trova la Cina che ha pesantemente sotto performato le attese tra il 2022 ed il 2023. Storicamente non è la prima volta che l’equity cinese realizza un drawdown di quasi il 50% in pochi anni: l’incognita sul mercato immobiliare e l’effettivo indebitamento del comparto al momento rappresentano i principali fattori che hanno generato elevati outflows dal mercato azionario cinese.
Cina e Stati Uniti stanno lentamente delineando un nuovo ordine mondiale fondato su restrizioni al commercio internazionale, accorciamento delle filiere produttive e conseguimento della leadership tecnologica per l’economia digitale. Nonostante gli ultimi due anni, la Cina abbia ormai raggiunto un vantaggio competitivo ineguagliabile in numerose filiere produttive e settori ad elevato apporto di tecnologia disruptive, gli USA invece continuano lentamente a deindustrializzarsi proprio a causa dell’ascesa cinese: ecco per quale motivo i programmi politici in termini di politica estera e sviluppo economico tra repubblicani e democratici sono sostanzialmente uguali ovvero limitare e respingere l’avanzata cinese nel mondo ed incentivare le aziende americane a ritornare a produrre in casa [fenomeno conosciuto con il termine di reshoring]. Per questo motivo pur considerando le spiacevoli performance dell’equity cinese ha tatticamente senso iniziare una progressiva opera di reset del portafoglio, sotto-pensando l’equity statunitense e sovra-pensando proprio quello cinese, quest’ultimo a livelli di sconto forse irripetibili per i prossimi anni. Il rapporto prezzo/utili in questo momento ci sta dicendo che il mercato statunitense appare moderatemente caro, mentre quello cinese fortemente a buon mercato. Inutile nascondere che il traino dell’azionario made in USA continueranno a farlo le Magnificent Seven [Microsoft, Apple, Alphabet, Amazon, Nvidia, Meta e Tesla].
Sul piano pratico pertanto sarebbe opportuno preferire una esposizione azionaria equiponderata all’indice principale [S&P500] piuttosto di quella più conosciuta ponderata per la capitalizzazione di mercato [Cap Weighted]. Passando alle componenti satellitari è doverosi citare come il settore healthcare sia ormai una sorta di occasione epocale in virtù del repricing che lo ha caratterizzato dopo la fine del 2021 [a pandemia ormai superata]. Sul fronte commodity, l’oro appare una stella decadente in quanto inizia a brillare solo in caso di un deterioramento consistente del quadro macro o in presenza di cigni neri: inoltre con i tassi reali oltre il 2% risulta illogica una esposizione percentuale consistente. Potrebbero invece sorprendere alcune commodity industriali ed energetiche per il clima di incerterzza che si sta delineando sul fronte marittimo con il 80% del commercio mondiale che si basa su rotte di navigazione che transitano per il Canale di Suez [crisi sul Mar Rosso in conseguenza della ostilità del mondo arabo verso le economie occidentali che stanno fornendo supporto a Israele sulla Striscia di Gaza]. Infine, ultime, ma non per ultime, si deve iniziare a dare spazio all’interno della propria asset allocation anche alle digital assets, soprattutto quelle rappresentative di potenziali future aziende fintech della crypto economy. Durante il 2024 andrà in scena il quarto halving di Bitcoin, successivamente al quale storicamente abbiamo assistito a consistenti fase di espansione rialzista delle quotazioni, non solo per BTC, ma soprattutto per le altcoins che abbiano dimostrato adozione e partnership di prestigio mondiale con tech giants della new economy.