Dopo sei mesi di asfissiante propaganda mediatica finalmente sono stati approvati dalla SEC gli ETF Spot Bitcoin per il mercato retail statunitense: proprio questa aspettativa ha rappresentato il principale market driver per il settore crypto durante la seconda parte del 2023 consentendo a Bitcoin di realizzare una perfomance semestrale di quasi il 100%. Per chi non lo sapesse esistono già numerosi ETF su Bitcoin da oltre tre anni sul mercato canadese, brasiliano, australiano ed europeo. Complessivamente tutti questi ETF a livello mondiale cubano oltre i 5 miliardi di dollari in termini di AUM. Inoltre proprio sul mercato statunitense già esiste dal 2013 il Greyscale Bitcoin Trust con oltre 28 miliardi di dollari di AUM [convertito recentemente proprio in ETF] e dal 2021 anche un ETF sintetico, il ProShares Bitcoin Strategy, che permette di avere esposizione direzionale all’andamento della quotazione di Bitcoin grazie all’utilizzo dei contratti futures: gli AUM che detiene questo strumento sono di circa 1.700 milioni di dollari. Per fare un paragone in casa nostra, sul mercato europeo è quotato il ETC Physical Bitcoin che sfiora i 1.200 milioni, primo ETP europeo per masse in gestione su Bitcoin. Pertanto possiamo dire che sino ad oggi chi desiderava investire in Bitcoin tramite strumenti regolamentati ha potuto far riferimento a questi tre prodotti ad elevata capitalizzazione.
Ad inizio anno un report di Standard Chartered ha stimato una quotazione di Bitcoin a 200.000 dollari entro il 2025 qualora proprio i nuovi ETF statunitensi su Bitcoin riusciranno ad attrarre un importo tra i 50 ed i 100 miliardi di dollari, il che significa almeno raddoppiare quanto hanno già oggi raccolto negli anni prima sia Greyscale che ProShares. Si è sovente utilizzare il paragone con l’oro per far capire come anche gli ETF su Bitcoin potrebbero arrivare ad assorbire una quota di capitale cosi elevato e pertanto produrre un nuovo forte impatto sulla quotazione di Bitcoin già in tempi brevi. Tuttavia si ritiene che questa previsione sia troppo autoreferenziale visto che Bitcoin è un asset rischioso e non un bene rifugio [safe harbour] come il metallo giallo. Ad ogni modo, proviamo a far chiarezza su questa prospettiva prendendo in considerazione il più grande ETC sull’oro disponibile in Europa [iShares Physical Gold], il quale ha un AUM di oltre 13 miliardi di dollari, mentre se mettiamo assieme i primi dieci ETC sull’oro in Europa si arriva ad oltre 45 miliardi [ETC = Exchange Traded Commodity].
I primi ETC sull’oro risalgono esattamente a 20 anni fa [come il Gold Bullion Securities] e hanno iniziato a riscuotere successo in termini di raccolta proprio durante la Grande Crisi Finanziaria del 2008/2009 quando il settore bancario mondiale si trovava in una condizione di vulnerabilità epocale, pertanto l’oro rappresentava una sorta di safe heaven [porto sicuro] in un momento in cui il capitalismo era stato messo in profonda discussione. Esattamente in quel momento nasceva Bitcoin, quest’ultimo con l’ambizione originaria di affrancarsi dal sistema bancario mondiale. L’oro è ritornato in auge nuovamente negli anni successivi durante la crisi del debito sovrano europeo e durante i primi mesi di pandemia di covid. Dal 2023 i BRICS 11 [si sono aggiunti Arabia Saudita, Iran, Egitto, Argentina, Etiopia ed EAU] hanno iniziato un lento e progressivo aumento delle loro riserve auree, capeggiati dalla Cina, al fine di poter innescare un processo di de-dollarizzazione delle loro economie emergenti. Inoltre, prima che arrivassero gli ETC sull’oro, era piuttosto difficile acquistare oro fisico per investimento, questa possibilità pratica non era accessibile a tutti: ad esempio, in Italia esistevano [ed esistono tuttora] solo tre grandi centri orafi a livello nazionale, Vicenza, Arezzo ed Alessandria.
Gli ETC sull’oro pertanto semplificarono il tutto con un click di mouse o con una telefonata alla propria banca, eliminando anche le responsabilità legate alla custodia del metallo. Non possiamo dire lo stesso per Bitcoin visto che anche negli Stati Uniti chi avesse voluto investirci senza aspettare i dodici nuovi ETF approvati dalla SEC aveva già disponibili numerose soluzioni pratiche da diversi anni: gli exchange, i CFD, i titoli azionari di società correlate all’andamento di Bitcoin e per finire il Grayscale Bitcoin Trust ed un ETF sintetico [quello di ProShares]. Pertanto gli ETF Spot Bitcoin recentemente approvati non sono il main gate per Bitcoin nei confronti degli investitori retail degli Stati Uniti: potrebbero invece diventarlo per alcuni comparti finanziari [come i fondi multi asset] il cui mandato di gestione consentirebbe una esposizione nei confronti di un asset alternativo, in questo caso verso una commodity digitale. Ad ogni modo è plausibile che ci vogliano anni prima che le masse verso questi prodotti diventino consistenti visto che per quasi tutte le case di gestione Bitcoin appare ancora una asset class eccessivamente pericolosa vista la sua volatilità e l’incognita nel lungo termine a causa del suo carbon foot print.
Questo assunto recentemente è stato menzionato da Vanguard [seconda investment house al mondo] la quale non è intenzionata ad offrire alla propria clientela tali ETF in quanto ritiene Bitcoin quale un asset alternativo immaturo e troppo rischioso. Per concludere, se analizziamo i dati a consuntivo degli AUM riferiti ai 12 ETF Spot Bitcoin autorizzati il 10.01.2024 otteniamo un’amara conclusione: i net inflows arrivano ad appena 800 milioni di dollari nei primi giorni di quotazione, il che rappresenta un importo decisamente modesto, se non insignificante come fenomeno finanziario nel suo complesso, soprattutto se rapportato alla propaganda mediatica martellante a cui abbiamo assistito nei mesi precedenti il lancio [il ETC Group Pysical Bitcoin in Europa da solo detiene oltre 1.300 milioni di dollari]. Pertanto i prossimi mesi saranno decisivi per comprendere se vi sarà effettivamente adozione istituzionale supportata da nuovi netflows oppure il tutto deve essere considerato, come sostengono numerosi analisti finanziari, solo una exit liquidity per numerosi players istituzionali che negli anni precedenti hanno accumulato in silenzio Bitcoin e per prendere profitto sulle loro posizioni necessitano di investitori sprovveduti che arrivino sul mercato animati dall’aspettativa del profitto facile grazie ad una propaganda faziosa e pergrina.