Tra i numerosi rischi sistemici da cui ci si dovrebbe proteggere, se non altro ricorrendo a strategie di gestione attive che consentano di prediligere un approccio market neutral, ne abbiamo uno di nuova concezione che ha iniziato a diffondere preoccupazione e timori nelle comunità finanziarie internazionali. Stiamo parlando dell’ascesa senza freni inibitori degli ETF in termini sia di prodotti che di masse gestite. Tanto per dare un metro di giudizio considerate che solo negli Stati Uniti ad inizio 2008 il denaro convogliato sugli ETF ammontava a circa 500 miliardi di dollari, mentre alla fine del 2018 eravamo già oltre i 3.500 miliardi, vale a dire una crescita del 700%. Le masse in gestione delle case di investimento con i tradizionali fondi comuni di investimento non solo non hanno avuto una crescita di questa proporzione, ma addirittura recentemente si sono contratti. In rete si sprecano gli elogi agli ETF e loro varianti (ETC/ETN/ETP) come se si stesse trattando degli strumenti finanziari migliori in senso assoluto. Ho avuto modo di rendermi conto in più occasioni di come ancora ad oggi il piccolo investitore che cerca di gestire il proprio patrimonio facendo ricorso agli ETF non abbia una completa e chiara comprensione di che cosa effettivamente si acquista con un ETF. I dieci anni passati dalla crisi finanziaria del 2008 hanno permesso di evidenziare ed ostracizzare i limiti ed onerosità degli strumenti finanziari a gestione attiva (come i fondi comuni di investimento), facendo ormai comprendere come nella maggior parte dei casi questi prodotti non sono nè efficienti e nè efficaci.
Significa che in un orizzonte ragionevolmente ampio come quello di una decade, la capacità di performare di un gestore attivo è stata mediocre, modesta o in taluni casi addirittura pessima. I fondi comuni di investimento sono gravati dalle commissioni di gestione le quali rappresentano la remunerazione riconosciuta al gestore per cercare di ottenere performance migliori della media di mercato. Ha senso infatti pagare tali oneri in presenza di risultanti gratificanti e superiori ad un indice di riferimento (benchmark). Se invece sono inferiori o uguali, a quel punto diventa sensato optare per uno strumento a replica passiva il quale è molto meno costoso ed anche più pratico nella sua gestione: lo comprate e vendete con un click di mouse o al massimo con una telefonata, contrariamente ai tempi e seccature amministrative che hanno i fondi comuni di investimento per il loro smobilizzo. Se a questo ci aggiungiamo le numerose fusioni tra le case di gestione che ci sono state in questi ultimi due anni (ricordiamo ad esempio Aberdeen Standard oppure Janus Henderson Horizon) che producono generalmente processi di accorpamento dei comparti finanziari con medesima strategia di gestione, comprendiamo che gli attori degli investimenti con gestione attiva si stanno tra di loro sfidando per eccellere in dimensione, sacrificando magari peculiarità individuali che li distinguevano in passato dalla massa.
Dopotutto quantità e qualità difficilmente vanno d’accordo. Il 2018 ci ha insegnato che i fondi migliori su cui puntare non è detto che siano in seno alle grandi case di gestione blasonate a livello mondiale come BlackRock, Fidelity o Amundi. Anzi, i risultati a consuntivo sul 2018 mettono invece in mostra società di gestione meno conosciute in termini mediatici. L’entrata di MIFID 2 che obbliga i gestori di investimento a ostentare in bella evidenza gli on-going fees, vale a dire il costo complessivo che si sostiene su base annua nel sottoscrivere o detenere un determinato strumento di investimento, sta già producendo significative migrazioni di capitali dalla gestione attiva a quella passiva. In conseguenza di questi dettami, negli ultimi anni sempre più piccoli investitori prediligono la gestione passiva, quindi gli ETF, molto meno costosi e molto più efficienti. Tuttavia qui si dovrebbe aprire il vaso di Pandora per rendersi conto di questa aberrazione, se non addirittura cecità finanziaria. Il 90% degli ETF che sono presenti sul mercato sono a replica sintetica, significa che al loro interno vi è generalmente uno swap con una controparte finanziaria che consente di replicare l’andamento del mercato sottostante. A supporto di questo assunto è possibile citare infatti proprio il rischio di controparte che viene enunciato all’interno del KIID di ogni ETF: questa tipologia di rischio potrebbe avere conseguenze devastanti in una nuova crisi finanziaria di portata sistemica.
Gli outlook di mercato sono quasi tutti all’unisono concordi sulla possibilità che durante il 2020 si dovrà fronteggiare una nuova grande recessione globale stante ormai l’attuale espansione decennale del ciclo economico mondiale. Per questo motivo numerosi commentatori suggeriscono di esaminare con attenzione la struttura degli ETF sui cui si è deciso di investire in quanto quelli a replica passiva sono caratterizzati da una vulnerabilità che non è mai stata sondata o messa alla prova, storicamente parlando. Gli ETF consentono infatti di entrare ed uscire dal mercato con le stesse tempistiche di un tipico acquisto azionario: se molto denaro stupido si è posizionato senza tante considerazioni sui prodotti a replica sintetica esclusivamente per risparmiare sugli oneri di gestione, state certi che questo assetto esacerberà proprio l’andamento dei mercati azionari ai primi segnali di turbolenza. Tutti infatti vorranno uscire dal mercato, e lo faranno, allo stesso momento, amplificando gli effetti di una caduta delle quotazioni sui mercati finanziari. Le stesse linee di gestione in ETF incentrate sull’intelligenza artificiale dei robot advisors accenderanno la spia rossa quasi contemporaneamente per l’uscita dal mercato. Andate a vedere che volumi scambiano alcuni ETF sintetici (solitamente quelli che replicano mercati esotici o panieri settoriali di mercato) e vi renderete conto di questo rischio. Se proprio volete puntare su un ETF almeno selezionate quelli a replica fisica per mercati di ampie capitalizzazioni. I fondi comuni di investimento invece hanno la possibilità di ricorrere a coperture tramite il ricorso agli strumenti derivati o qualora siano flessibili anche di potersi posizionare nella sola liquidità.