La perdita di fiducia degli operatori istituzionali è stata uguale se non superiore a quella vissuta durante il 1987 o il 2008: la domanda che ora tutti si pongono è se il peggio, almeno sul piano finanziario, sia passato o abbia raggiunto il suo culmine finale. La terza settimana di marzo ha infatti portato l’indice azionario statunitense S&P500 a sfiorare i 2200 punti producendo pertanto un crollo complessivo di 1200 punti in appena un mese: in percentuale si parla di una contrazione del 35% nel suo complesso, tra le più corpose nella storia dei mercati azionari se rapportate alla sua manifestazione temporale. Alla diffusione del panico anche oltreoceano, le banche centrali hanno alzato velocemente il tiro e messo sul tavolo il più imponente piano di sostegno finanziario che non si vedeva dai tempi del Piano Marshall. Questo impegno nella sua forma quantitativa e qualitativa ha contenuto l’emotività degli investitori e dei risparmiatori consentendo una prima stabilizzazione e ripresa delle quotazioni. Cerchiamo pertanto di capire se possiamo ritenere alle spalle il peggio della tensione finanziaria che abbiamo visto in queste ultime quattro settimane oppure se si tratta di una pausa emotiva prima di assistere nuovamente alla ripresa delle vendite e del panic selling.
Partiamo con questo primo dato: tutte le case di gestione all’inizio hanno sottostimato il rischio di una pandemia, ricordiamo infatti che sul piano mediatico la Polmonite di Wuhan ha fatto la sua comparsa all’inizio di Gennaio 2020, mentre le prime avvisaglie di panico finanziario si scatenano verso la fine di Febbraio. Chi sta analizzando il proprio dossier titoli in questi giorni noterà come pochissimi comparti finanziari siano riusciti a contenere il danno o addirittura a rimanere in territorio positivo, segno questo che i gestori erano tutti troppo ottimisti e posizionati sostanzialmente allo stesso modo. Adesso invece siamo passati ad una situazione diametralmente opposta ossia un panico generalizzato ed irrazionale da fine del mondo proprio come avvenne nel 2008 quando si ipotizzava addirittura la fine del capitalismo. Le banche centrali e gli organismi sovranazionali questa volta hanno reagito più velocemente del 2008 ed anche quasi all’unisono, se escludiamo il primo errore nella gestione della crisi europea da parte della Lagarde a metà Marzo. In questo momento le misure adottate sono eccezionali ed impensabili sino a qualche settimana fa.
Acquisti illimitati di titoli di debito governativo, garanzie statali sui fidi e prestiti per le piccole e medie imprese, misure di sostegno al reddito dei nuclei familiari in conto capitale, sospensione dei vincoli di bilancio per le nazioni europee, sforamento dei deficit di governo e assegni mensili nelle tasche dei contribuenti sino al ritorno della normalità. Si tratta di un arsenale da guerra degno dello sbarco degli alieni sulla Terra. Numerosi commentatori ora ipotizzano che si stia addirittura facendo troppo e che a fine pandemia l’economia mondiale metterà il turbo in numerose economie avanzate. Un secondo elemento di riflessione è legato allo stato di salute della banche soprattutto quelle europee che ora vantano quozienti di solidità patrimoniale doppi e in alcuni casi anche tripli rispetto a quelli che avevano nel 2008. Questa è una conseguenza delle operazioni di rafforzamento patrimoniale che si sono perpetrate negli anni precedenti. Pertanto le banche in questo momento non sono attori di sistema a rischio e politicamente non vi è alcun accanimento nei loro confronti.
Un terzo elemento di riflessione è dato dall’eccesso di pessimismo, vale a dire che le quotazioni attuali stimano una recessione mondiale per due anni consecutivi. Tuttavia nel caso in cui la pandemia diventasse sotto controllo entro la fine di maggio sarebbe lecito ipotizzare una ripresa degli acquisti azionari in misura rilevante in forza di uno scenario in netto miglioramento. Ricordiamo che alcune nazioni come l’India hanno scelto subito le misure più drastiche evitando pertanto gli errori commessi da Regno Unito o Stati Uniti. Infine proprio su questa constatazione si sviluppa il quarto tema di riflessione ossia la differenziazione della ripresa economica, la quale non sarà uniforme e né tantomeno lineare per ogni nazione. Dipenderà infatti dalle misure adottate e dalle diverse tempistiche di adozione: in questo momento infatti possiamo aspettarci che il clima emergenziale termini prima in Italia che in Germania o in Regno Unito. La differenziazione della ripresa non colpirà solo a livello geografico, ma anche in termini settoriali visto che ci saranno attività economiche che necessiteranno anche tre anni per riprendersi (pensiamo al trasporto aereo o al settore turistico) mentre ve ne saranno altre che saranno favorite dai nuovi stili di vita e dal nuovo modello di intereazione lavorativa (tele working ed online entertainment).