AGRICOLTURA E POLITICA

L’Italia è conosciuta nel mondo per essere sempre stato il paese del buon vino e del buon cibo: almeno questa era l’impressione che si poteva avere sino a qualche anno fa, visto che purtroppo il settore primario italiano sta subendo le conseguenze di una disastrosa trasformazione, con effetti collaterali che colpiscono tutto l’indotto del settore. Il rilancio e sostegno dell’agricoltura italiana rappresentano una ulteriore priorità nazionale del nostro paese. I moniti sono arrivati e continuano ad arrivare da più parti, l’agricoltura italiana sta morendo, sta attraversando la crisi più profonda dal dopoguerra, con un elevatissimo tasso di abbandono imprenditoriale da parte di chi ha sempre partecipato alla filiera italiana. La crisi del settore è imputabile a due fenomeni: in primo luogo, l’abbandono delle culture e dei terreni a fronte di economie di scala insostenibili per la piccola azienda agricola, in secondo luogo, la concorrenza ed ingerenza della grande distribuzione organizzata (GDO) nella filiera produttiva che ha portato ad un crollo della redditività delle imprese agricole. La dimensione tipica dell’impresa agricola italiana si aggira intorno ai dieci ettari, contro i duecento di un’impresa francese: queste ridotte dimensioni non consentono di effettuare investimenti in tecnologia (macchinari ed attrezzature) che consentano di svolgere l’attività primaria con risultati di profitto soddisfacenti.

Il danno più grave al settore, tuttavia, lo ha prodotto la sempre più potente ed estesa GDO, che detta letteralmente le regole a tutta la filiera produttiva italiana, dagli ortaggi alla frutta, dal bestiame ai cereali. Moltissimi talk show italiani hanno più volte analizzato è descritto questa situazione anomala, facendo notare come il ricavo per il produttore sia di pochi centesimi al chilo, mentre il prodotto sui banchi del supermercato costa qualche euro. La guerra dei prezzi e delle tariffe con il canale distributivo sta uccidendo migliaia di piccole imprese agricole che sono costrette ad abbandonare il mercato in quanto non riescono ad ottenere una redditività sostenibile per gli investimenti ed il tempo dedicato. Chi governa dovrebbe intervenire per limitare e contenere la sperequazione economica imposta dalle grandi catene distributive quanto prima, nell’interesse di agricoltori, allevatori e consumatori finali. Dal dopoguerra ad oggi l’Italia ha subito una trasformazione sociale dal punto di vista lavorativo per l’intero settore decisamente rilevante, infatti ha visto diminuire costantemente il livello occupazionale del settore primario dal 45% al 5% della popolazione totale: tuttavia oggi la gran parte di coloro che sono occupati nel settore primario sono per la stragrande maggioranza immigrati, di cui una consistente fetta addirittura clandestina. Fenomeni come il caporalato in alcune regioni del mezzogiorno ci sono state mostrate e spiegate a seguito sia di inchieste giornalistiche e sia di episodi di disagio popolare che hanno avuto notevole risalto mediatico.

Proprio grazie alla narrazione giornalistica fuori dal coro abbiamo potuto comprendere ancora una volta a che cosa servono i flussi di immigrazione senza freni inibitori: a creare un bacino di manodopera a costo desindacalizzato, costituito da persone nella maggior parte dei casi colluse con la criminalità organizzata che stagionalmente amministra la raccolta dell’oro rosso, i pomodori o quello verde, le olive. Il nostro paese vanta dei primati sul piano della produzione agricola che non possono essere copiati o clonati, come ad esempio la produzione di olio d’oliva, agrumi, ortaggi e frutta che non possono certo competere qualitativamente con la frutta proveniente dal Sud America, banane a parte. Oltre alla concorrenza di prodotti alimentari provenienti al di fuori dei confini europei, comincia a far paura soprattutto al piccolo consumatore la presenza e l’ingresso di colture geneticamente modificate in Italia, un paese che ha fatto della qualità e varietà della produzione agricola uno dei suoi slogan principali. La concorrenza di questi prodotti sulla carta non potrà mai essere vinta, infatti il consumatore che si rifornisce al banco dei supermercati concentra tutta la sua attenzione solo al cartellino del prezzo e non più all’origine ed alla struttura della filiera che ha prodotto quello che sta per portare sulla tavola.

Questo comportamento sconsiderato ha iniziato a mostrare anche i suoi frutti indiretti, con il proliferare di intolleranze alimentari soprattutto nelle giovani generazioni la cui dieta alimentare è sempre meno costituita da prodotti tipici italiani, e sempre più da alimenti troppo sofisticati con troppi conservanti e coloranti, nella maggior parte dei casi di provenienza industriale o surgelata. Proprio su questo fronte si dovrebbe maggiormente investire a livello istituzionale, anche e soprattutto dentro le scuole, non solo sensibilizzare il futuro consumatore a un regime di dieta alimentare sano, genuino e possibilmente autoctono, ma anche far conoscere maggiormente le proprietà e la qualità del prodotto agricolo italiano, che non ha concorrenti sul mercato. Solo con una nuova regia nazionale non pervasa da clientelismi e dissidi interni, anche fra le stesse rappresentanze sindacali del settore, è possibile pensare ad un futuro prospero per l’agricoltura ed il settore enogastronomico italiano, i quali potrebbero iniziare a diventare aree strategiche e punti di forza per il paese, che vanta una tipicità penso unica al mondo. Per intraprendere tuttavia questa strategia di marketing alimentare è necessario assolutamente ripristinare la redditività del settore agricolo e ripristinare il suo originario peso e ruolo per l’intera economia italiana.

Non si potrà mai avere un vantaggio competitivo negli anni a venire se non verranno tutelate ed enfatizzate le qualità distintive dei prodotti della terra italiani, bandendo pertanto nella maniera più repressiva sia le colture geneticamente modificate e sia l’influenza che le lobby agroalimentari esercitano sul parlamento italiano e su quello europeo. Per questo motivo Metesis è intenzionata a istituire l’AIDA ossia Authority Italiana per le Derrate Agroalimentari, organismo indipendente garante della sostenibilità economica tra le filiere produttive del settore primario e la Grande Distribuzione Organizzata (GDO) avente il compito di interporsi tra la domanda e l’offerta di mercato al fine di riequilibrare la redditività ed il valore aggiunto per i vari attori di mercato all’interno dei vari settori di produzione. Sul piano pratico l’AIDA ha come obiettivo principe quello di monitorare, controllare e limitare la concorrenza sul mercato tra i diversi attori, mirando ad una più equa ripartizione del valore aggiunto tra GDO e filiere produttive, utilizzando qualora ve ne fosse la necessità anche atti ed interventi in regime di monopolio al fine di tutelare e garantire la prosperità e convenienza economica del settore primario italiano.

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