Vi ricordate quando è caduto il muro di Berlino, un evento che ha dato avvio alla fine del comunismo e dell’Unione Sovietica: in qualche modo il fenomeno Brexit impatta su tutto il mondo con una dinamica similare, se non peggiore. Inutile far finta di niente, nonostante i vari proclami istituzionali ex post esito, se dovessi scommettere sulla fine dell’Unione Europea nei prossimi tre anni andrei giù pesante con il carico da novanta. Ha ragione Soros, il progetto di coesione europea, al momento, si può considerare naufragato ed il tanto ostracizzato dissolution risk è più che mai dietro l’angolo. Francia, Finlandia, Austria, Olanda, Ungheria e magari anche Italia, si sprecheranno nei prossimi diciottomesi i tentativi di emulazione da parte di altre nazioni con altrettanto esito analogo. Chi preoccupa maggiormente è proprio la Francia il prossimo anno, con un nuovo governo verosimilmente di stampo nazionalista il cui obiettivo è proprio la rottura istituzionale con questa Europa. Molto probabile che proprio e solo l’euro sopravviverà nel medio e lungo termine al posto dell’unione politica, concependo pertanto la moneta unica come il solo collante e driver economico in grado di aggregare e unire in qualche modo tutte le nazioni europee che vorranno stare fianco a fianco nella competizione globale, pressate a ovest dagli Stati Uniti ed a est da un’Asia in continua ascesa. Finisce un mondo e ne inizia un altro, tuttavia nessuno adesso si può permettere di dire che il nuovo che avanza sia migliore o peggiore di quello che ci lasceremo alle spalle: sta di fatto che l’incertezza e la vulnerabilità diventeranno per noi europei o per chi si riconosce ancora in questo termine le tematiche dominanti nei prossimi cinque anni.
Mi aspettavo la Brexit, ne ho fatto menzione anche all’interno del live show Big Ben is Back durante il mese di febbraio e marzo; mi aspettavo anche il D-Day sui mercati finanziari il giorno dopo; mi aspettavo una nuova calda estate sul fronte dell’instabilità e della volatilità. Quello che non mi aspettavo è stato il comportamento tanto dei britannici quanto delle autorità sovranazionali europee. I primi appena proclamato l’esito del referendum subito a voler fare marcia indietro con patetiche esternazioni degne del campionato mondiale di cialtroneria: non abbiamo fretta di uscire, godiamoci l’estate e vediamo che cosa fare in settembre, al momento non sappiamo chi deve prendere il posto del dimissionario Cameron, pensavamo che il referendum non avesse esito positivo e pertanto non abbiamo ancora predisposto la road map operativa e cosi via discorrendo. Il top di gamma è stata la petizione online siglata da qualche milione di aderenti in poche ore subito dopo la proclamazione del risultato referendario con il fine di richiedere la ripetizione del referendum nelle settimane successive, tuttavia con richiesta di consenso più qualificato, non il 51% ma almeno i 2/3 dei votanti. Della serie abbiamo scherzato. Che dire invece del mancato linciaggio a Boris Johnson la mattina di Sabato 25 Giugno, quando proprio davanti a casa sua lo aspettavano migliaia di londinesi inferociti per il risultato conseguito; oppure sempre lo stesso ex sindaco di Londra che rifiuta di prendere il posto di Cameron e lascia ad altri l’ingrato compito di traghettare il Regno Unito fuori dalla UE. Adesso almeno la smetteranno di deridere solo gli italiani nel mondo per la loro cialtroneria politica, perchè dal 23 Giugno sono in compagnia dei sudditi di Sua Maestà Elisabetta II.
Solo tra qualche anno si potrà effettuare a consuntivo una valutazione di merito su questa scelta tanto sbandierata ossia se il Regno Unito ci avrà guadagnato effettivamente oppure se si trattava solo di un bagliore accecante innanzi ad un muro di cemento armato. Mi fa venire in mente quelli che vogliono a tutti i costi il divorzio dal partner e dopo averlo conseguito, una volta che si mettono a tavolino a fare i conti su quanto è costato, quanto ci hanno rimesso, quanto hanno speso in assistenza legale, quanto hanno perduto in termini di serenità e quiete, quanti mal di testa e mal di fegato hanno dovuto sopportare a causa del partner, alla fine se ne escono con esternazioni del tipo, beh forse era meglio se non divorziavo: il piatto della bilancia non è vistosamente pendente dalla mia parte. Con grande presunzione per il Regno Unito sarà così, specie se la Scozia a breve si esprimerà per entrare in Unione Europea. Molti commentatori economici infatti sostengono che il fenomeno Brexit ha decretato la fine dello United Kingdom e non dell’Unione Europea. Stiamo a vedere, tanto di occasioni nel breve termine ne abbiamo a iosa: Grecia, Spagna, Italia e Francia, saranno tutti nuovi campi di battaglia in cui le attuali autorità sovranazionali europee potranno cimentarsi. Proprio su questo versante infatti è emerso quello che non mi aspettavo ossia l’immobilismo europeo innanzi al risultato referendario britannico. Ci avevano garantito che vi era una cabina di regia ad-hoc pronta ad intervenire per gestire il panico e la tensione sui mercati finanziari, mentre quello che si è visto è stato solo il nulla. Follia pura lasciare che i mercati potessero negoziare nella giornata di Venerdi 24 Giugno: per ragioni prudenziali e di buon senso si doveva impedire l’attività di negoziazione su tutte le borse europee. Ricordate che cosa fece l’America dopo gli attentati del 9/11 ? o come la scorsa estate in Grecia la borsa di Atene venne sospeso per trenta giorni successivamente al referendum indetto da Tsipras? Anche in questo caso mi sento di dire, abbiamo scherzato. Non esisteva nessuna cabina di regia e se c’era era un ridicolo postribolo di incompetenti oppure peggio si voleva proprio che questo accadesse volutamente per indebolire alcuni paesi e renderli più attraenti agli occhi di alcuni grandi investitori istituzionali. Deltronde Borsa Italia è controllata da quella di Londra (London Exchange Group) a sua volta controllata da Dubai e Qatar in qualità di principali azionisti di riferimento.
Abbiamo scherzato lo devono dire anche tutte le società di sondaggio a cui è stata commissionata la proiezione sulle intenzioni di voto relative al referendum inglese. Abbiamo scherzato lo dovrebbe dire anche il Consiglio Europeo e la Commissione Europea, i quali appreso il risultato del referendum sono stati alla finestra senza fare paura a nessuno. Invece noi europei avremmo dovuto subito intimorire i britannici in questo caso: avete voluto uscire, buon per voi: vi diamo trenta giorni di tempo per stilare una road map, dopo di che implementiamo unilateralmente le conseguenze su tutti i fronti possibili di tale vostra scelta. Altro che tanto ci sono due anni per decidere come uscire in termini di modalità e tempistiche. La UE doveva fare la dura e pura: adesso raus, end of the story, take your things and back home. Questo avrebbe trasmesso maggiore autorevolezza all’Unione Europea e soprattutto avrebbe impattato negativamente proprio sui mercati inglesi e non su quelli europei: tuttavia ci troviamo con un Europa priva di leadership politica e senza key men in grado di mutare il corso degli eventi. Sul fronte risparmio gestito invece ho visto che la maggior parte delle investment house e dei rispettivi fondi multi asset da esse gestiti è stata in grado di metabolizzare e contenere la volatilità delle quotazioni limitando la contrazione del NAV dei fondi di investimento a nemmeno due punti percentuali, segno questo che i gestori non si sono lasciati prendere di sorpresa ed hanno implementato qualche giorno prima del 23 Giugno sia strategie di copertura che di allocazione tattica per beneficiare di un eventuale calo atteso alle quotazioni. Per adesso questo ritengo sia l’unico versante in cui chi lavora ed opera abbia dato dimostrazione di non scherzare e di non farsi trovare impreparato da macroeventi di portata sistemica di cui si conosceva la tempistica ormai da qualche anno.