In Italia il peggior settore economico in cui lavorare ora e nel prossimo futuro viste le sue prospettive occupazioni è rappresentato dall’industria bancaria a fronte della grande trasformazione e rivoluzione digitale che caratterizza la fruizione dei servizi bancari e finanziari tradizionali. Il secondo peggiore settore in forza delle sue prospettive occupazionali è invece rappresentato dalla educazione e formazione scolastica delle scuole pubbliche. Andiamo per gradi e cerchiamo di comprendere questa constatazione. In Italia ci sono circa 3.520.000 lavoratori all’interno del pubblico impiego stando al Bilancio dello Stato del 2019 disponibile presso la Ragioneria Generale dello Stato (www.rgs.gov.it): di tutti questi solo 200.000 rappresentano funzionari, quadri e dirigenti che non rientrano all’interno della categoria del personale dipendente.
Chi è assunto come dipendente dello Stato a tempo indeterminato è cosi suddiviso: il 4% lavora nelle carceri, all’interno della magistratura e nei corpi diplomatici, il 5% lavora nelle amministrazioni centrali, il 6% nelle forze armate, il 10% nelle amministrazioni comunali, il 10% nelle forze di polizia, il 20% nel Sistema Sanitario Nazionale ed infine il 35% nelle scuole pubbliche. In estrema sintesi si tratta di oltre 1.100.000 lavoratori dipendenti suddivisi tra docenti, personale ausiliario e non. Questo dato in sé non consente di comprendere analiticamente lo scenario occupazionale che interessa la scuola pubblica: per riuscire in questo intento dobbiamo infatti parametrarlo alla evoluzione della popolazione studentesca italiana.
Nel 1950 gli studenti all’interno della scuola pubblica erano 5 milioni, nel 1980 sono raddoppiati diventando 10 milioni: in tre decenni la popolazione italiana si è affrancata dalla povertà ed ha intrapreso la strada dell’ascensore sociale pretendendo di avere i propri figli tutti istruiti, se possibile sino all’ultimo livello di formazione (leggasi università). La popolazione studentesca italiana è inoltre raddoppiata in forza del boom demografico che ha contraddistinto il dopo guerra. Dal 1980 inizia una lenta discesa, diventano infatti 9 milioni nel 1990, 8 milioni nel 2000 ed ormai siamo ad appena a 7.6 milioni all’inizio del 2020. La discesa è dovuta alla lenta comparsa ed affermazione delle scuole private equiparate alle pubbliche ed ovviamente all’inverno demografico che ha colpito anche l’Italia come conseguenza di un cambiamento sociale in tutte le nazioni occidentali.
Dal picco del 1980 ad oggi (quattro decenni) se la popolazione studentesca si è contratta di quasi il 25%, lo stesso non si può dire del corpo docente all’interno delle scuole pubbliche che passa da 600.000 agli oltre 850.000 odierni, pertanto aumentando di quasi il 50% durante lo stesso lasso di tempo. Sul piano pratico significa che la scuola italiana ha continuato ad assumere insegnanti a prescindere dall’effettivo andamento del numero degli studenti complessivi: tutto questo incontra una sola spiegazione ossia convenienza politica. Per questo motivo in Italia abbiamo il rapporto alunni/docente tra i più bassi in Europa (nove alunni per docente) contro una media europea di quindici alunni per docente. In aggiunta a questo si deve sottolineare anche la elevata età media dei docenti che contraddistingue la scuola pubblica italiana, frutto di scellerate politiche di consenso politico implementate nel passato soprattutto da governi di centrosinistra.
Questo scenario sul fronte occupazionale dovrà essere portato in una condizione di equilibrio e sostenibilità anche in rapporto ai recenti cambiamenti conseguenti alla pandemia di coronavirus. La necessità di ricorrere alla docenza online infatti scoperchia definitivamente il vaso di Pandora facendo comprendere come non sia più possibile concepire la regolarizzazione di centinaia di migliaia di precari esclusivamente per finalità di consenso politico: soprattutto in un momento epocale di grande trasformazione ed innovazione tecnologica in cui l’educazione scolastica e la sua fruizione stanno cambiando probabilmente per sempre il rapporto alunno/docente. Di fatto in Italia l’insegnate di scuola pubblica è stato protetto politicamente al di là di ogni ragionevole buon senso, spesso anche a discapito di altre tipologie di lavoratori dipendenti all’interno della funzione pubblica.